Bambini, giovani, famiglie: sono tra le categorie che hanno dovuto sopportare le “fatiche” legate all’emergenza coronavirus. Parlando di frattura educativa, nell’introduzione dell’ultimo Consiglio episcopale permanente, il cardinale presidente della Cei Gualtiero Bassetti ha chiesto di operare proprio con bambini, famiglie e giovani in un impegno educativo, che abbia “sguardi in avanti, creatività, progettualità”, e di invitarli “a mettersi in gioco, a elaborare idee e progetti per scuole più inclusive, per parrocchie più vive, per percorsi di catechesi rinnovati”.
“Un anno difficile sicuramente, anzitutto perché ci siamo addentrati in un’esperienza che non avevamo mai vissuto. E i giovani e tutto il mondo educativo sono stati la parte più dimenticata e, di conseguenza, la più penalizzata – afferma don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei -. Ancora oggi si pensa all’educazione come la meno necessaria; invece,
se manca l’educazione, manca il futuro, ma non solo ai giovani: manca il futuro anche agli adulti,
perché educare vuol dire porsi, anche in prima persona, le domande più importanti della vita. Altrimenti, si fanno diventare decisive solo la scienza, l’economia, la tecnologia, che sono importantissime ma non sono tutto”. Per il sacerdote, “è necessaria la capacità di star dentro un mondo che è diverso, ma questa capacità ancora non ce l’abbiamo perché continuiamo a stare dentro questo mondo pensando e sperando di riuscire a tornare a un passato che non torna più. Né possiamo pensare di educare i giovani come lo facevamo trent’anni fa istruendoli come se fossero delle scatole vuote da riempire di contenuti”. Don Falabretti evidenzia:“Non sappiamo ascoltare i giovani, non sappiamo comprendere perché le loro istanze sono così diverse dalle nostre e liquidiamo tutto dicendo che hanno i grilli per la testa. Credo che se non impariamo a sviluppare un atteggiamento serio di ascolto delle loro istanze non impareremo mai neanche ad accompagnarli”.Con la pandemia, osserva, “è finito un mondo. Il Novecento non è finito nel 2000, ma nel 2020 e forse adesso si è aperto davvero il secolo nuovo, quindi penso e spero che sia tempo di aprire gli occhi e muoversi con atteggiamenti diversi. Non ci sono ricette da trovare, ma una grande conversione pastorale da mettere in atto,
c’è uno sguardo diverso che dobbiamo avere nei confronti dei ragazzi,
ma anche nei confronti della storia”.
Non è solo complicato, ma richiede anche un atto di fiducia, tutti i giorni.
Quest’anno mi sono imposta un esercizio continuo di pazienza, che mi permesso di individuare strade nuove, che non avevo considerato e che richiedono strumenti e forme nuove, ma che esistono”, dice Martina, per la quale “le relazioni a distanza non sono meno veritiere di quelle fisiche, occorre trovare le modalità giuste.Il prendersi cura, il preoccuparsi di qualcuno non passa solo attraverso la vicinanza fisica se c’è la voglia di andare a fondo. A separarci dalle persone che più amiamo ci sono uno schermo o un telefono, ma, se si è attenti, possiamo cogliere un malessere o percepire una gioia.Si tratta di aguzzare altri sensi: se non ho la vista devo ascoltare di più e fare attenzione a cose a cui prima non la prestavo. In questo senso la costruzione la vedo più lenta, ma non meno stimolante, anzi”. Dopo un primo momento di stallo “c’è stata la fase del riprendere in mano quello che ci è stato tolto. Prioritario da qui ai prossimi anni dovrebbe essere una programmazione non solo delle nostre vite: alcune delle difficoltà sono state legate al fatto che alcuni percorsi sono stati interrotti ma non è stato possibile attivarne altri al momento giusto. Parlo della scuola, dell’università, di alcuni ambienti che sono stati bloccati ma che sono il fulcro della vita di noi giovani, il fulcro delle relazioni educative.Il fatto che sia mancato in questi anni una visione, una lungimiranza nel prendersi cura di questi luoghi si sta facendo sentire”.Per esempio, rispetto al mondo dell’università, con un numero di studenti molto più basso della scuola, Sardo sottolinea:“Non credo che sia impossibile gestire un luogo come l’università, piuttosto è mancata in questi anni la cura per farlo”.E dagli anziani, altra categoria colpita dall’emergenza sanitaria, si può imparare l’arte del prendersi cura, proprio com’è successo a Martina: “Non ho visto mia nonna per mesi, ma lei si è presa cura di me telefonandomi ogni giorno, allo stesso tempo io ho avuto l’esigenza di cercarla quotidianamente, mentre forse prima andavo a trovarla una volta a settimana”.
“Tutto si impara in famiglia, dal fare pace a cos’è la politica e ai temi grandi della vita. La famiglia è il luogo per eccellenza dell’educazione. Ma
il vero problema è il mondo adulto.
Non possiamo lamentarci dei giovani, se gli adulti si sono rassegnati e non riescono più a trovare i modi, i tempi e le occasioni per educare, avendo smarrito, come diceva Benedetto XVI, l’elemento educativo per antonomasia che è la speranza”, dichiara Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, per il quale “la denatalità è la cartina di tornasole di questa perdita di fiducia nella vita, di questa mancanza di speranza”. Quindi, “la frattura educativa ha a che fare con i ragazzi, ma anche e soprattutto con gli adulti”. Come rispondere alla sollecitazione del card. Bassetti a un protagonismo delle famiglie? “Le famiglie ci sono, durante il lockdown hanno avuto una grande opportunità educativa e hanno dimostrato di portarla avanti malgrado le difficoltà. Papa Francesco ci invita a remare tutti nella stessa direzione, questo vale anche dal punto di vista educativo. Tutti noi abbiamo una leadership: la domanda è se vogliamo viverla pienamente o meno, se come genitori vogliamo assumerci il nostro ruolo oppure se vogliamo fare semplicemente quelli che portano lo stipendio a casa, preparano la cena e il pranzo.Dobbiamo aiutare i genitori a riscoprire il loro ruolo fondamentale. Se abbiamo buoni genitori avremo buoni cittadini domani. Tutto è collegato”.Importante anche riscoprire l’alleanza con la scuola: “Ci sono due approcci: o alla scuola demandiamo tutto disinteressandoci dei figli oppure pensiamo che la scuola possa traviare i nostri ragazzi. Invece, la visione giusta è che la scuola è un’alleata educativa: mi devo interessare dell’educazione dei miei figli ma è anche importante che loro abbiano all’interno della scuola una visione plurale. Quindi, a mio avviso,la visione giusta è ‘immischiarsi”, cioè farsi coinvolgere negli organi democratici e decisionali delle scuole dei propri figli, non vivere la vita senza partecipare. Anche lì si crea un’alleanza, è una questione di stima reciproca tra genitori, docenti, presidi e ragazzi”.