COLONNELLA – Si prospettano ancora giorni difficili per gli operai dell’ATR Group di Colonnella, l’azienda del settore metalmeccanico in cui si produceva un’alta percentuale del mercato italiano della fibra di carbonio, un polo di eccellenza regionale e di interesse nazionale, sia per l’elevato livello tecnologico dei compositi progettati e prodotti, sia per il prestigio della sua clientela nazionale ed internazionale. L’azienda ha lasciato a casa 150 lavoratori. Abbiamo incontrato uno di loro, Fabrizio Cecchini, operaio storico dell’azienda, che ne ha seguito le vicende in prima persona sia durante i fasti sia nelle austerità degli ultimi tempi. Fabrizio, da due anni anche rappresentante sindacale dei lavoratori iscritti alla UIL – UILM, ci ha raccontato la travagliata battaglia che gli operai stanno combattendo e come ha trovato la forza per non cadere nella disperazione ed affrontare la situazione.
Quale è la situazione attuale dei dipendenti ATR?
“Questa è una pagina molto difficile della nostra storia aziendale. A dire la verità, i momenti duri da affrontare sono iniziati alcuni anni fa, ma la situazione si è aggravata da poco più di un anno. Noi operai, infatti, ci siamo ritrovati a dover subire prima alcuni ritardi nei pagamenti delle spettanze, poi il mancato pagamento ed infine anche l’impossibilità di lavorare. Questo ha fatto maturare in noi lavoratori la consapevolezza di dover rivendicare i nostri diritti. Abbiamo intrapreso una dura lotta che ci ha visto presidiare i capannoni dell’azienda giorno e notte, anche se poi, a causa del Covid, abbiamo dovuto interrompere le nostre rimostranze. Un risultato importante, però, lo abbiamo ottenuto: la regione Abruzzo ha adottato la cassa integrazione ordinaria per 13 settimane, anziché quella straordinaria. Successivamente, a causa della pandemia, abbiamo proseguito con la cassa integrazione Covid fino allo scorso Novembre.
Attualmente siamo in attesa che l’Inps emani i codici per la nuova cassa integrazione fino al 26 Marzo prossimo. Abbiamo ricevuto le spettanze di Novembre e Dicembre, ma non abbiamo ancora visione di cosa vogliano fare di questo sito industriale. Tutte queste vicissitudini aziendali hanno portato al fatto che 150 operai si siano ritrovati senza lavoro. In questi mesi qualcuno è riuscito a trovare una nuova occupazione, ma circa 90 persone sono ancora in cassa integrazione a 0 ore, totalmente a carico dell’Inps: percepiamo l’80% circa del salario, ma non secondo cadenze regolari, bensì con ritardi sistematici di 100/120 giorni. Non arrivando con regolarità le nostre spettanze, noi e le nostre famiglie abbiamo difficoltà nella gestione quotidiana della vita, anche della spesa. Siamo tutte famiglie o monoreddito o con figli a carico, quindi il disagio economico è davvero grande; ma il disagio maggiore è la frustrazione che scaturisce da tutta questa situazione. Non siamo rimasti solo senza lavoro, ma anche senza una prospettiva futura. La crisi economica già in essere, infatti, unita alla pandemia ed all’età media di noi operai (quasi tutti sulla cinquantina), ha permesso solo a pochi di noi di ritrovare una nuova e diversa occupazione.”
Cosa auspicate per il futuro?
“Ci aspettiamo molto dalle istituzioni, che, invece, finora, sono state molto lontane. Gli unici che ci hanno dato voce sono state le organizzazioni sindacali. Poi ci sono stati alcuni gesti di solidarietà venuti dalla comunità. Il ristorante Bellavista, ad esempio, ci ha offerto un pranzo sociale, mentre eravamo in presidio presso il capannone. Un altro gesto di vicinanza è arrivato da nostro parroco don Dino Straccia che ci ha fatto visita, ci ha benedetto e ci ha esortato a rivendicare la nostra dignità di lavoratori e cristiani. Ci auguriamo che la pandemia non faccia spegnere i riflettori sulla nostra situazione. Un’azienda che chiude è una sconfitta, non solo per i dipendenti che hanno perso il lavoro, ma per l’intera comunità, per la società civile tutta. Qui si sta condannando un paese, anzi un intero territorio, all’arretratezza economica e quindi anche socio-culturale. Questo è inaccettabile.
Se non ripartiamo dal lavoro, quale futuro può esserci? Il comparto industriale ha un valore ed un’importanza fondamentale per un territorio. Nel periodo dei fasti, la nostra azienda ha contribuito alla vittoria dei 7 mondiali di Formula 1 di Schumacher; marchi prestigiosissimi si sono affidati a persone del nostro territorio. Noi operai andavamo a lavoro, sapendo che la nostra professionalità sarebbe stata valorizzata nelle performance sportive, quindi con la consapevolezza e l’orgoglio di partecipare alla realizzazione di pezzi unici e di valore. Un’azienda che è stata riconosciuta come strategica per il sistema Italia, in quanto produttrice di pezzi di alta professionalità e tecnologia, come può essere in tal modo lasciata nel dimenticatoio? Abbiamo quindi bisogno prima di tutto di persone che vogliano investire sul capitale umano che c’è a disposizione e che tanto può ancora dare.”
Come può un cristiano vivere questo momento di difficoltà, senza lasciarsi prendere dallo sconforto?
“Questo non è tempo per scoraggiarsi e disperarsi, bensì è tempo di rilanciare la nostra azione, in virtù di ciò che crediamo e che riteniamo giusto. Noi pensiamo che ci possa essere una speranza di ripartenza e di impresa perché, istituendo un tavolo ad hoc, con aziende ben avviate nel settore, ubicate tra l’ascolano ed il teramano – e magari con la regia della regione Abruzzo – ciascuno, secondo le proprie competenze e professionalità, può contribuire a trovare soluzioni percorribili per riassorbire chi oggi è messo ai margini del mondo del lavoro. Questo può avvenire solo con l’aiuto di tutte le istituzioni, nessuna esclusa, con quella sinergia che permette a ciascuno di portare il proprio contributo per una finalità condivisa che deve essere quella di restituire dignità alle persone. E questo è possibile solo attraverso il lavoro. Come ha ricordato il Santo Padre, senza lavoro non c’è dignità, bensì la schiavitù dell’uomo: la non valorizzazione della persona ci fa sentire soli ed inutili. In questa società dello scarto, allora, noi dobbiamo far sì che le persone ritrovino una propria collocazione nel mondo del lavoro e quindi nella società. L’uomo ha la sua dignità nel lavoro. Nella fede si può trovare conforto, ma soprattutto la strada per capire in che direzione andare. La fede è il faro per noi che siamo in mare: un faro soprattutto quando, come ora, il mare è in tempesta; un faro che fa luce e ci indica la rotta da seguire per non perderci; un faro che illumina anche l’anima, dando sollievo, per combattere le preoccupazioni, e speranza, per superare la paura.”