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Myanmar: proteste e morti in tutto il Paese

“Il ricorso alla violenza deve cessare. Le lezioni del passato ci avvertono: la violenza non vince mai. Settantadue anni dopo l’indipendenza, chi è al potere, deve investire nella pace. Solo la pace potrà guarire questa nazione. Diamo una possibilità alla pace. La pace è possibile, la pace è l’unica via”. È quanto scrivono in una Dichiarazione tutti i vescovi del Myanmar. All’indomani delle violenze che si sono viste purtroppo nell’ultimo fine settimana per le strade del Paese, i presuli rivolgono un accorato appello di pace e riconciliazione a tutte le parti. Purtroppo quello che fin dall’inizio del colpo di Stato era temuto, purtroppo è accaduto. Le proteste e le dimostrazioni di disobbedienza civile nel Paese non solo non si sono fermate, ma ad ogni fine settimana, si sono fatte sempre più violente. Sabato è stata la giornata più difficile: decine di migliaia di persone sono scese nelle piazze e nelle strade delle città più importanti del paese, e a Mandalay due persone sono morte e almeno 20 sono state ferite, dopo che la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti. A livello internazionale, molti Paesi hanno condannato le violenze, alcuni hanno adottato misure punitive mentre Facebook ha chiuso la pagina dell’esercito birmano (conosciuto col nome ufficiale di Tatmadaw) per aver violato le regole della piattaforma, che proibiscono l’incitamento alla violenza. L’Unione europea ha in programma un incontro oggi sul Myanmar. Ieri sera, è scesa in campo tutta la Conferenza episcopale del Paese. “Noi vescovi cattolici rappresentanti delle 16 diocesi cattoliche, diffuse in tutto il Paese, rivolgiamo un appello soprattutto a coloro che detengono il potere perché usino moderazione nelle strade e si ritorni al dialogo”. L’appello fa seguito alla “angoscia profonda” e al “dolore” nel vedere che purtroppo come si temeva, è stato versato “sangue nelle strade”. “Le scene strazianti di giovani che muoiono per le strade feriscono la coscienza della nazione”, scrivono i vescovi. “Questa nazione ha la reputazione di essere chiamata ‘Terra d’oro’. Non lasciamo che il suo suolo sacro sia impregnato di sangue fraterno. Il dolore dei genitori che seppelliscono i loro figli, deve finire. Le lacrime delle madri non sono mai una benedizione per nessuna nazione”. I vescovi indicano come via pacifica il processo democratico che fino ad un mese fa era in atto, dopo che a novembre si erano tenute le elezioni. “Solo un mese fa, la nazione aveva una grande promessa: il sogno di una pace rafforzata e una democrazia robusta. Nonostante la recrudescenza della pandemia globale, la nazione ha tenuto le elezioni. Il mondo ammirava la nostra capacità di gestire le differenze. Oggi il mondo piange con noi, sconvolto una volta ancora dalla frammentazione di questa nazione. I nostri giovani meritano di meglio”. Da qui l’appello: “Con le preghiere nel cuore, imploriamo le parti interessate, di ritornare al dialogo”. I vescovi ricordano come il Myanmar sia una Nazione “conosciuta per la sua incontaminata sorgente spirituale”, e affermano: “Investiamo le nostre energie nella riconciliazione. La guarigione deve iniziare con il rilascio dei leader detenuti”. I vescovi concludono il loro appello unendosi alle parole di pace lanciate nei giorni scorsi dai monaci “Ma Ha Na”. “Esortiamo i leader a prestare attenzione al loro avvertimento: il Myanmar può diventare storia ed essere cancellato dalla mappa del mondo, se non riesce a risolvere i problemi in modo pacifico! Ci uniamo al loro appello alla riconciliazione attraverso il dialogo”.

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