Mentre i giornali annunciano che anche quest’anno per gli esami di maturità le prove scritte non ci saranno e i maturandi gioiscono, ci rammarichiamo e torniamo a interrogarci sul “peso” che la scrittura ha nella vita degli adolescenti.
Quanto scrivono i nostri figli? Apparentemente molto. Lo fanno di continuo sulle chat e sui social. Si esprimono in una lingua che non è esattamente la nostra (modificata, abbreviata, ricca di emoticon), ma non si può dire che non scrivano. A dire il vero, il loro sembra di più un discorrere, un dialogare a flusso continuo. Dialogano anche quando annotano il proprio “stato” su whatsapp, o sui post che disseminano nell’universo virtuale. Dialogano, perché i pensieri, che danno in pasto alla rete, restano in attesa di commenti e altre voci, o anche semplicemente di conferme in forma di like.
In questa forma, nella scrittura non viene sperimentata la ricerca personale e l’espressione avviene in funzione degli altri, non è una produzione del pensiero individuale.
Poi scrivono a scuola. Tra i banchi monoposto si producono testi. Anche in Dad, ci si prova. Li abbiamo cresciuti soprattutto a colpi di questionari e di esercizi di comprensione del testo. Ma quanto li abbiamo fatti scrivere davvero, senza le briglie dello schema preconfezionato a fine paginetta?
Il testo argomentativo è la bestia nera dello studente. Nonostante le ricette presenti sui manuali e le unità didattiche dedicate. I motivi li conosciamo: i giovani leggono poco, hanno un vocabolario limitato e non sanno argomentare. Insomma, non padroneggiano la competenza della scrittura in tutte le sue declinazioni.
Certo, durante il percorso scolastico, li abbiamo fatti partecipare ai laboratori di scrittura creativa, li abbiamo guidati negli esercizi di analisi dei diversi brani. Sanno tutto del testo narrativo, dei campi semantici e delle figure retoriche. Ma abbiamo fatto in modo che fossero davvero lambiti dal passo “epico” e potente della scrittura?
Se lo fossero stati davvero, oggi si servirebbero della scrittura “ampia” anche nella comunicazione privata. Invece pare che lo facciano raramente. Ad esempio, non scrivono lettere, neppure quelle d’amore. Le lettere sono una consuetudine vintage. Molto più veloce ed efficace per loro inviare messaggi vocali.
Peccato, perché le lettere oltre a riuscire a esprimere l’inesprimibile che sta al fondo delle storie sentimentali, hanno il potere di trasformarsi in preziosi ricordi. A volte sono talmente intense da riuscire a commuoverci ancora dopo anni, o da meritare di essere addirittura pubblicate.
Un altro fenomeno legato alla scrittura, che ha caratterizzato quest’ultimo decennio, è la progressiva scomparsa dell’uso del corsivo. I giovani prediligono il carattere stampato maiuscolo e minuscolo, in realtà faticano proprio a tracciare sulla pagina bianca i ghirigori del corsivo. Per lo meno in questo ambito, si sta registrando una novità e cioè la diffusione del lettering, ovvero della realizzazione di un corsivo quasi artistico con tanto di tutorial da seguire per diventarne esperti. Per il lettering occorre poi un corredo di penne e pennarelli non indifferente, sono richiesti esercizio e disciplina.
Chissà se dal lettering si passerà poi a una riscoperta della scrittura in senso lato, come strumento di approfondimento del proprio io e veicolo di emozioni profonde.
La scrittura è anche un mezzo terapeutico, favorisce l’introspezione e insegna a organizzare i pensieri, a costruire ragionamenti, spalanca le porte al pensiero critico e speculativo.
Scrivere fa bene all’anima e approfondisce la conoscenza di sé.
Tutti aspetti che renderebbero senz’altro migliore la futura umanità.
Insomma, la scuola soprattutto dovrebbe trovare il modo di promuovere e riscoprire questa competenza. Il patrimonio letterario non dovrebbe essere solo sezionato e analizzato nelle esercitazioni di verifica, ma anche ri-vissuto e ri-ascoltato intimamente da chi attraverso lo studio si trova a esplorarlo.