CIVITELLA DEL TRONTO – Inauguriamo oggi una nuova rubrica del nostro giornale: un viaggio a spasso per la nostra diocesi alla scoperta delle chiese più antiche. Iniziamo con un gioiello medievale ubicato a ridosso di un meraviglioso belvedere, in una terra impervia e di confine, la Chiesa di San Pietro Apostolo di Ripe, frazione di Civitella del Tronto.
L’ubicazione di questo luogo di preghiera nel borgo di Ripe ricorda quelle chiesette di campagna che si vedono nei film! Immersa nel verde, tra alti alberi che fanno ombra a un gruppetto sparuto di case ottocentesche, quasi sospesa sul fianco di una collinetta, salendo per il paese, all’improvviso su una curva, compare la facciata con il classico profilo a campana. In posizione arretrata, sulla destra si erge il campanile a pianta rettangolare con quattro campane. Sulla sinistra, aprendo il maestoso cancello si ha l’accesso, oltre che all’abitazione adiacente, anche al meraviglioso panorama paesaggistico: è come se si aprissero le porte dell’infinito!
Il parroco, don Elvezio Di Matteo, ci racconta: “La nostra chiesa ha origini non facilmente databili che comunque possiamo collocare nel Tardo Medioevo. L’unica data certa ci viene fornita da un registro parrocchiale in nostro possesso risalente al 1593. Fin dall’inizio questa chiesa è stata una dipendenza dell’Abbazia di Montesanto e, più precisamente, una Prioria, cioè una comunità minore di monaci guidati da un priore. Con molta probabilità la chiesa all’inizio era costituita solo dal presbiterio a cui successivamente sono state aggiunte prima la navata e poi la sagrestia. La struttura originaria esterna è rimasta tale fino al 1950, quando viene modificata l’ampia scalinata d’ingresso e posta lateralmente. Successivamente sono stati eseguiti ulteriori lavori di ristrutturazione. Anticamente, adiacente alla chiesa, c’erano anche un piccolo chiostro e l’abitazione dei monaci: con i lavori del 57, invece, si è scelto di abbattere la porzione centrale del fabbricato abitativo, quindi oggi del chiostro non c’è più traccia poiché è stato coperto dal cemento. Attualmente dall’esterno si vedono in maniera distinta le due porzioni di fabbricato: una, staccata dalla chiesa, che è stata completamente rinnovata in quegli anni e resa indipendente; l’altra, ancora contigua alla chiesa, che è, invece, tutta da sistemare. Infine nel 1976 sono state effettuate delle modifiche alla facciata, in particolare per quanto riguarda i punti luce: sono state, infatti, chiuse le due finestre ovali laterali e si è provveduto a riaprire l’ampia monofora centrale.”
Accedendo all’interno, don Elvezio ci illustra sia la struttura sia le opere che essa ospita: “L’interno della chiesa è ad aula unica con un unico punto di illuminazione naturale: la monofora centrale. Ai lati dell’ingresso sono custodite due acquasantiere barocche. Attraversando poi centralmente la lunga ed unica navata e procedendo verso l’altare, lo sguardo volge naturalmente verso l’alto, verso il tetto a capanna. Nel 1950 il parroco don Alessandro Rapali ha fatto restaurare la copertura, nascondendo il tetto con un soffitto in cartongesso. Successivamente, nel 1976 il parroco don Antonio Vallorani ha fatto smantellare il cartongesso montato qualche anno prima, facendo risistemare il tetto con il cordolo in cemento e mettendo in bella vista le capriate. L‘unico elemento architettonico di una certa antichità, quindi, ancora oggi visibile, è rappresentato dalle capriate in legno. Separato dal resto della chiesa da un arco trionfale, si giunge alla zona presbiteriale illuminata nella parete sud da un finestrone di forma ovale. L’altare originario, fatto di mattoni e gesso, è stato sostituito nel 1958 con un altare in marmo policromo grazie al parroco don Guido Cimini; poi nuovamente nel 1976 il presbiterio è stato rinnovato da don Antonio Vallorani su disegno dell’architetto Radicioni che all’epoca ha effettuato numerosi lavori in diocesi. La zona in cui è posto il tabernacolo è in travertino oniciato, mentre l’altare, l’ambone, il fonte battesimale e il piedistallo del cero Pasquale sono in rame.”
Il presbiterio è ricco di statue e soprattutto tele di pregio. Tra le più importanti, don Elvezio ce ne segnala tre:
“La tela centrale è stata dipinta nel 1745 dallo stesso artista che ha dipinto il soffitto della cattedrale di Campli che fino al 1818 era la sede di quella diocesi che oggi risulta soppressa. La scena è quella classica della Crocifissione, ma rispetto ai noti protagonisti della scena evangelica (Maria Maddalena, Maria la madre di Gesù e Giovanni), sotto la croce c’è anche un quarto personaggio, San Pietro che, come accade spesso nell’iconografia cristiana, ha il tradizionale mazzo di chiavi in mano. È chiaramente un omaggio dell’artista alla chiesa di Ripe di Civitella dedicata proprio a questo santo.
Importante dal punto di vista storico, è anche il dipinto seicentesco che rappresenta la Madonna di Reggio. Quando, nel 1600, nell’antica diocesi di Montalto giunse come vescovo Monsignor Codebò che era originario di Modena, diffuse il culto e la devozione alla Madonna di Reggio, detta anche Madonna della Ghiara, tanto che nella zona di Montalto ci sono ancora oggi anche alcune chiese e molte statue dedicate a questa Madonna. Si tratta della raffigurazione di Maria che adora suo figlio Gesù bambino con la classica frase latina ‘Quem genuit adoravit’ che significa ‘Adorò colui che generò’. La tela è stata dipinta appositamente per la chiesa di Ripe: nella parte inferiore del quadro, infatti, possiamo ammirare la raffigurazione del borgo civitellese.
Un’altra opera che ha un valore storico importante per la nostra comunità è la tela raffigurante l’Immacolata Concezione. Si tratta di un ex voto donato alla chiesa dal fratello del priore Tommaso Iacuffa che volle far dipingere questo quadro in onore della Madonna, dopo essere stato salvato dai malevoli di Ripe.”
A pochi kilometri dal nostro mare, la Chiesa di Ripe di Civitella segna il confine abruzzese della nostra diocesi. Molti sono gli aspetti che la rendono preziosa: le tele racchiuse al suo interno, le capriate in legno della volta seicentesca, il campanile adiacente alla sagrestia, ma soprattutto la spiritualità che emana, dentro e fuori le sue mura. Il parroco don Elvezio afferma: “La natura è la presenza di Dio. Guardando la Montagna dei Fiori, i suoi profili morbidi e le sue cime innevate, ci proiettiamo verso l’infinito. Pregare è anche ammirare il creato e ringraziare Dio per le sue meraviglie. Per questo motivo la nostra struttura è stata spesso scelta in passato per ritiri spirituali o per gite di piacere a contatto con la natura: da qui infatti si possono organizzare escursioni a piedi per raggiungere la vicina e suggestiva Grotta di Sant’Angelo, il più lontano e roccioso Castel Manfrino, le profonde Gole del Salinello e le tante aree protette del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga.”