di Piergiorgio Aquilino*
Da questa pandemia non ne verremo fuori come prima: ne usciremo migliorati o peggiorati. Ce lo stanno ripetendo insistentemente e in salse differenti. Non si tornerà indietro, nulla sarà più come prima. A livello ecclesiale, sociale o, semplicemente, individuale.
Ma per la Chiesa italiana c’è una speranza per invertire la rotta finché si è in tempo: si chiama Sinodo. È proprio quello che, secondo papa Francesco, urge alle diocesi della nostra Penisola: «Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare» (Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio Catechistico Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana, 30 gennaio 2021).
La metafora del cammino deve richiamare, necessariamente, a una profonda considerazione squisitamente di carattere pastorale. Potrebbe aprirci la strada la vicina Chiesa tedesca che, nelle difficoltà di questi duri mesi, ha avviato il suo itinerario di rinnovamento interno, mettendosi allo specchio, a tu per tu, faccia a faccia, scontrandosi con i propri limiti e con i diktat di una società sempre più avanti.
La storia degli eventi sinodali – inutile negarlo! – testimonia come, nei grandi mutamenti della società, la Chiesa sia spesso stata un passo indietro: non per sorreggere il cammino, ma perché non è stata capace di scrutare i “segni dei tempi”; urgenza, peraltro, molto raccomandata dal Vaticano II.
Il Papa ci chiede di prendere coscienza di chi siamo, per avviare un processo di comunione. Sono tante le esperienze di sinodalità avviate nelle singole diocesi e nelle rispettive parrocchie, durante le quali, spesso, mistificando la realtà e per fare “bella figura”, si presentano comunità ecclesiali così ben architettate da modellare una forma su una sostanza del tutto inesistente. E i convegni, i consigli pastorali, i coordinamenti, che in pratica abbiamo conosciuto numerosi in questi anni, si sono così riempiti, da un lato, di autoreferenzialità e di competizione tra battezzati e, dall’altro, di un sempre più rigido monarchismo parrocale, tanto da rendere vana ogni singola teoria di pastorale. Tutto questo mentre la società cammina, da sola, oltre. Sempre oltre. E senza aspettare che la Chiesa la raggiunga.
Scattare la fotografia delle nostre chiese locali, senza vergognarsi di farle apparire così come sono nella realtà – a volte, barche logore trascinate dalle onde di un mare in tempesta, ma spesso anche porti di speranza al termine di un lungo naufragio –, potrebbe essere il primo passo per capire l’importanza del “camminare insieme”. Papa Francesco non ci chiama all’impossibile: lungi dall’apparenza delle sole manifestazioni di devotio popolare, la Chiesa ha il dovere di manifestare il suo saper stare nella società, con intelligenza ed onestà. Guai se, agli occhi della società, la Chiesa fosse semplicemente sinonimo di un becero clericalismo che straripa dalle sagrestie, già pienamente sature!
Per avviare un processo sinodale c’è bisogno di cristiani: formati, informati, competenti. Nelle discussioni per il rinnovamento della Chiesa italiana non c’è spazio per i grandi ideali dei relatori di turno – spesso inattuabili, poiché in teoria lontani dalla realtà dei contesti comunitari –, per le “lotte di potere” di un gruppo ecclesiale sull’altro, per le manie di un protagonismo bigotto e sfrenato da parte di laici e, ancor peggio, di preti.
La svolta della Chiesa è tutta da scrivere, hic et nunc, prima che sia troppo tardi: dopo questo tempo, nulla sarà più come prima!
(*) direttore “”Sentieri – incontri e dialoghi” (Lucera-Troia)
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