Le ricerche dicono che il Covid – la malattia – non è per i giovani lo spauracchio più grande. Piuttosto la paura e l’insicurezza che li accompagna è legata alla privazione di una vita normale.
Ci siamo di nuovo. Torna lo spettro delle chiusure più rigide, la pandemia rialza la testa. L’effetto di questa nuova ondata di preoccupazione è particolarmente forte. Non solo perché le misure più rigide disposte dal governo mettono oggettivamente in difficoltà le persone, le famiglie, le aziende. Ma soprattutto perché arrivano a raffreddare bruscamente speranze opposte. L’anno scorso, di questi tempi, si affrontava il lockdown come una cosa nuova, necessaria, urgente. Un’emergenza nazionale cui far fronte compatti. C’erano energie capaci di superare le paure individuali e collettive. Oggi, la medesima prospettiva (più attenuata peraltro) incontra stati d’animo molto differenti e inclini alla depressione.
Lo dicono gli esperti, gli osservatori dei fenomeni sociali, ed è quasi banale sottolineare che nel momento in cui ci si poteva aspettare un riscatto – il virus che arretra, i vaccini che aiutano a combatterlo – trovare invece preoccupazioni raddoppiate, varianti impazzite, ritardi impensabili nella distribuzione e somministrazione dei vaccini, prospettive di nuove restrizioni provoca inevitabilmente sfiducia e crescita dell’ansia.
Se questo è lo scenario, volendo restringere il campo visivo e concentrarlo sui più giovani, in particolare sugli adolescenti, si può immaginare di cogliere elementi di disagio ancora più accentuati. La loro sofferenza è forse tra quelle meno considerate, perché – ed è una delle caratteristiche dell’adolescenza – compressa, chiusa spesso su se stessa.
I nostri ragazzi e le nostre ragazze, cui sono stati negati i rapporti più importanti – e la scuola in presenza, su cui si è già detto di tutto, è un elemento decisivo – portano con sé e porteranno negli anni a venire un gap di relazioni non facile da colmare. Le ricerche dicono che il Covid – la malattia – non è per i giovani lo spauracchio più grande. Piuttosto la paura e l’insicurezza che li accompagna è legata alla privazione di una vita normale, cioè piena di incontri, di gesti, di abbracci, di contatti fisici. Una ricerca dell’Università di Padova proponeva tra l’altro una domanda secca agli adolescenti: “Chi ti manca di più?”, in questo tempo di pandemia. La risposta della quasi totalità di ragazze e ragazzi era univoca: “Gli amici” (il 75%).
La stessa ricerca evidenziava come questa mancanza sia stata riempita dall’uso dei social network, con un aumento del “consumo” giornaliero di internet da parte di ragazze e ragazzi (almeno 3 ore al giorno in media davanti al video, pc o, soprattutto, smartphone). I genitori che hanno adolescenti in casa lo sanno bene, anche senza ricorrere ad esperti ricercatori.
Ma anche questo indicatore fa riflettere. Da una parte mostra la capacità dei più giovani di cercare e trovare soluzioni di fronte alle difficoltà: non possiamo incontrarci in presenza, ecco la tecnologia. Dall’altra ci rimanda una sostanziale insufficienza dei mezzi a disposizione e di quel mondo virtuale nel quale ci si rinchiude. Gli amici “mancano” lo stesso, anche se ho chattato con loro per ore, anche se ho scambiato foto e battute su instagram, tik tok o quant’altro. Questi incontri virtuali non sono sufficienti. Ammettendo che siano effettivamente incontri e non piuttosto solo “contatti” occasionali, superficiali.
Questo porta anche a riflettere una volta di più sulla “scuola a distanza”, sulla Dad, per coglierne effettivamente portata e limiti. E sulla necessità che proprio la scuola, ambiente naturale per i più giovani, rimanga tra le attenzioni principali di chi governa, senza che si faccia distrarre dalle nuove emergenze. Queste resta una delle prime.