da Vatican News – Alessandro Di Bussolo –
Nell’Iraq culla delle grandi religioni, Ebraismo, Cristianesimo e Islam, “Tacciano le armi!”, basta “violenze, estremismi, fazioni e intolleranze”, e le differenze, invece di “dar luogo a conflitti”, cooperino “in armonia nella vita civile”. Papa Francesco, nel primo discorso di una visita “a lungo attesa e desiderata”, a 150 rappresentanti delle autorità irachene, società civile, e corpo diplomatico, nel salone del palazzo presidenziale di Baghdad, ribadisce i grandi temi del Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi, della più recente enciclica Fratelli tutti, per “costruire il futuro” del Paese, dopo guerre e pandemia, “più su quanto ci unisce che su quanto ci divide”.
Il Papa, accolto dal volo di decine di colombe nel grande piazzale del “Palazzo della Repubblica”, prende la parola dopo il presidente iracheno Barham Ahmed Salih Qassim, e ricorda come in Iraq sia nata la civiltà “strettamente legata, attraverso il Patriarca Abramo e numerosi profeti, alla storia della salvezza”. Nel salutare tutti i presenti, sottolinea prima di tutto, di venire “come pellegrino” per incoraggiare pastori, religiosi e fedeli della Chiesa Cattolica “nella loro testimonianza di fede, speranza e carità in mezzo alla società irachena”.
Rivolto poi ai rappresentanti delle altre Chiese e comunità ecclesiali cristiane, dell’Islam e delle altre tradizioni religiose, Francesco auspica che “Dio ci conceda di camminare insieme, come fratelli e sorelle”, nella “forte convinzione”, ribadisce, citando il Documento sulla fratellanza, “che i veri insegnamenti delle religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace, della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune”.
Il Pontefice ricorda poi la lotta mondiale contro la crisi della pandemia da Covid-19, “che non ha solo colpito la salute di tante persone, ma ha anche provocato il deterioramento di condizioni sociali ed economiche già segnate da fragilità e instabilità”. Una crisi che richiede “sforzi comuni” per i “tanti passi necessari”, come “un’equa distribuzione dei vaccini per tutti”. E citando la Fratelli tutti, ribadisce la necessità di “ripensare i nostri stili di vita, il senso della nostra esistenza” per “uscire da questo tempo di prova migliori di come eravamo prima” e “costruire il futuro più su quanto ci unisce che su quanto ci divide”.
Guarda poi alle sofferenze dell’Iraq, Papa Francesco, che, negli scorsi decenni, “ha patito i disastri delle guerre, il flagello del terrorismo e conflitti settari” spesso causati da “un fondamentalismo” che non accetta “la pacifica coesistenza di vari gruppi etnici e religiosi, di idee e culture diverse”. Ai frutti avvelenati di “morte, distruzione, macerie tuttora visibili”, si aggiungono le “ferite dei cuori di tante persone e comunità, che avranno bisogno di anni per guarire”. Il Papa ricorda il dramma degli yazidi, vittime innocenti “di insensata e disumana barbarie”, “perseguitati e uccisi” per la loro appartenenza religiosa, mettendo a rischio la loro “stessa identità e sopravvivenza”.
L’invito pressante di Francesco è a riuscire “a guardarci tra noi, con le nostre differenze, come membri della stessa famiglia umana”, unico modo per poter “avviare un effettivo processo di ricostruzione e lasciare alle future generazioni un mondo migliore, più giusto e più umano”. A questo riguardo, la diversità religiosa, culturale ed etnica, che ha caratterizzato la società irachena per millenni, è una preziosa risorsa a cui attingere, non un ostacolo da eliminare. Oggi l’Iraq è chiamato a mostrare a tutti, specialmente in Medio Oriente, che le differenze, anziché dar luogo a conflitti, devono cooperare in armonia nella vita civile.
Il Pontefice chiarisce quindi che “la coesistenza fraterna ha bisogno del dialogo paziente e sincero, tutelato dalla giustizia e dal rispetto del diritto” e questo richiede l’impegno di tutti “per superare rivalità e contrapposizioni, e parlarsi” a partire dall’identità più profonda e comune “quella di figli dell’unico Dio e Creatore”, come sottolineava il Concilio Vaticano II. E qui Papa Francesco ricorda che la Santa Sede continua ad appellarsi alle autorità, in Iraq come altrove “perché concedano a tutte le comunità religiose riconoscimento, rispetto, diritti e protezione”. Apprezza gli sforzi che il Governo iracheno ha già intrapreso e si augura che “proseguano a beneficio del Paese”. Guardando poi ai più vulnerabili e bisognosi della società, il Papa chiede di sviluppare la virtù della solidarietà, “che ci porta a compiere gesti concreti di cura e di servizio”, e pensa “a coloro che, a causa della violenza, della persecuzione e del terrorismo hanno perduto familiari e persone care, casa e beni primari”. Ma penso a tutta la gente che lotta ogni giorno in cerca di sicurezza e di mezzi per andare avanti, mentre aumentano disoccupazione e povertà. Il “saperci responsabili della fragilità degli altri” dovrebbe ispirare ogni sforzo per creare concrete opportunità sia sul piano economico sia nell’ambito dell’educazione, come pure per la cura del creato, nostra casa comune.
Una solidarietà fraterna che i responsabili politici e diplomatici sono “chiamati a promuovere”, contrastando “la piaga della corruzione, gli abusi di potere e l’illegalità”, ma anche edificando la giustizia, facendo crescere l’onestà e la trasparenza. Solo così “può crescere la stabilità e svilupparsi una politica sana” che offra a tutti, specialmente ai tanti giovani iracheni, “la speranza di un avvenire migliore”.
Francesco si dice quindi pellegrino “penitente”, che chiede perdono “per tante distruzioni e crudeltà” e ricorda le tante preghiere “in questi anni, per la pace in Iraq!”. Parla di san Giovanni Paolo II, che “non ha risparmiato iniziative, e soprattutto ha offerto preghiere e sofferenze per questo”, che “Dio ascolta sempre! Sta a noi ascoltare Lui, camminare nelle sue vie”. Tacciano le armi! Se ne limiti la diffusione, qui e ovunque! Cessino gli interessi di parte, quegli interessi esterni che si disinteressano della popolazione locale. Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace! Ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare, pregare in pace. Basta violenze, estremismi, fazioni, intolleranze!
“Si dia spazio – chiede il Pontefice – a tutti i cittadini che vogliono costruire insieme questo Paese”, nel dialogo e nel confronto sincero e costruttivo, a coloro che si impegnano “per la riconciliazione e per il bene comune”, mettendo da parte i propri interessi. Grazie a loro, in questi anni, “l’Iraq ha cercato di mettere le basi per una società democratica”. È indispensabile in tal senso assicurare la partecipazione di tutti i gruppi politici, sociali e religiosi e garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini. Nessuno sia considerato cittadino di seconda classe. Incoraggio i passi compiuti finora in questo percorso e spero che rafforzino la serenità e la concordia.
Una promozione della pace nella quale, sottolinea Papa Francesco, “la comunità internazionale ha un ruolo decisivo”, in Iraq e in tutto il Medio Oriente, anche nella vicina Siria, per un conflitto che in questi giorni “compie ben 10 anni”. Serve “una cooperazione su scala globale” per affrontare anche le “disuguaglianze economiche e le tensioni regionali” che mettono a rischio la stabilità dei Paesi. E ringrazia gli Stati e le Organizzazioni internazionali, che si stanno adoperando per la ricostruzione dell’Iraq, per “l’assistenza ai rifugiati, agli sfollati interni” e a chi sta cercando di “ritornare nelle proprie case”. Per questo ricorda anche le tante agenzie, molte cattoliche, “che da anni assistono con grande impegno le popolazioni civili”. Venire incontro ai bisogni essenziali di tanti fratelli e sorelle è atto di carità e di giustizia, e contribuisce a una pace duratura. Auspico che le nazioni non ritirino dal popolo iracheno la mano tesa dell’amicizia e dell’impegno costruttivo, ma continuino a operare in spirito di comune responsabilità con le Autorità locali, senza imporre interessi politici o ideologici.
In conclusione il Papa torna a citare il Documento di Abu Dhabi, per ribadire che “il nome di Dio non può essere usato” per “giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione”. Perché Dio Creatore “ci chiama a diffondere amore, benevolenza, concordia”. La Chiesa Cattolica, anche in Iraq, “desidera essere amica di tutti e, attraverso il dialogo, collaborare in modo costruttivo con le altre religioni, per la causa della pace”. L’antichissima presenza dei cristiani in questa terra e il loro contributo alla vita del Paese costituiscono una ricca eredità, che vuole poter continuare al servizio di tutti. La loro partecipazione alla vita pubblica, da cittadini che godano pienamente di diritti, libertà e responsabilità, testimonierà che un sano pluralismo religioso, etnico e culturale può contribuire alla prosperità e all’armonia del Paese.
Le ultime parole del Papa nel Palazzo Presidenziale sono di “gratitudine” alle autorità irachene per l’impegno volto ad “edificare una società improntata all’unità fraterna, alla solidarietà e alla concordia”. Con la preghiera all’Onnipotente “di sostenervi nelle vostre responsabilità e di guidarvi tutti sulla via della sapienza, della giustizia e della verità”.
“Stiamo curando le nostre ferite, ed ecco Lei, Santo Padre, le medica con noi”. Così presidente della repubblica Salih, prima di Francesco, ha ringraziato l’ospite a nome di tutti gli iracheni, per non aver posticipato la visita a causa della pandemia e delle difficili condizioni del Paese. Iracheni che, ha sottolineato, sono fieri di aver vissuto, per secoli, malgrado le tirannie, “in città ricche di grande varietà di appartenenze, dove vivono vicini in città o quartieri, musulmani, cristiani, ebrei, sabei e yazidi, fratelli gli uni degli altri”. Con le Chiese vicine alle moschee e agli altri luoghi di preghiera.
Barham Salih, che ha ricordato “l’importante ruolo” del Papa “nell’invitare alla pace, alla giustizia sociale e ad affrontare la povertà”, e il suo generoso sforzo “per affermare il dialogo, la convivenza e la fraternità umana”, ha descritto due momenti di fratellanza tra musulmani e cristiani iracheni. Dopo l’attacco terroristico alla cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad, i giovani musulmani hanno manifestato “fianco a fianco con i giovani cristiani, loro fratelli”, per difendere le chiese “nello stesso modo in cui difenderebbero le loro case e i loro luoghi sacri”. E durante la liberazione di Mosul, in una chiesa distrutta dai terroristi dell’Isis, “soldati musulmani coperti dalla polvere” hanno preso la croce “sulle spalle per riportarla al suo luogo santo nella chiesa”, mentre il loro ufficiale, in piedi, faceva il saluto militare “alla statua della Vergine Maria e a quella di Cristo”.
Il presidente iracheno ha lamentato poi che “soprattutto in Oriente”, il mondo “sta perdendo l’attitudine al pluralismo, alla diversità e all’accettazione dell’opinione dell’altro”, e questo “alimenta il terrorismo e l’incitamento alla violenza”. Per questo “è indispensabile continuare a combattere le ideologie estremiste”, dono migliore “che possiamo fare al futuro delle nostre nuove generazioni”. Nel suo discorso a tratti accorato, il presidente Salih ha ricordato “le guerre inutili” delle quali l’Iraq è stato vittima per più di due decenni, con “centinaia di migliaia di iracheni di tutte le appartenenze” “giustiziati, assassinati e scomparsi”. Dalle “armi chimiche” usate da Saddam Hussein ad Halabja, alle “fosse comuni nelle città meridionali e centrali e il prosciugamento delle paludi e la terribile distruzione dell’ambiente”.
E la guerra all’Isis con “città distrutte, economie annientate, famiglie sfollate, donne ridotte in schiavitù, chiese rovinate, campi bruciati e monumenti preziosi saccheggiati”, nonché violenze “contro le donne yazide e turkmene” e massacri che hanno colpito “in egual misura, musulmani, cristiani, yazidi, sabei, kakài e altri componenti della società”. Ma Barham Salih ha voluto riferirsi “in particolare alla grande sofferenza dei nostri fratelli cristiani che sono stati costretti a lasciare le loro case e la loro patria”, sperimentata “dai cristiani in diversi Paesi del Medio Oriente”.
“Tutti perdono in questo caos oscuro – è stata la sua analisi – e non c’è soluzione se non nel dialogo e nella cooperazione per la sicurezza comune e i diritti dei nostri cittadini”. Il contributo dei cristiani dell’Iraq, “popolo di questa terra e suo ‘sale’, di civiltà e di lotta, è stato molto influente”, ha ricordato, lamentando che le continue crisi “hanno ridotto la presenza” dei cristiani d’Oriente “e li hanno spinti ad emigrare”. Migrazioni che avranno “conseguenze disastrose per i valori di pluralismo e tolleranza, ma anche per la capacità di coesistenza dei popoli della stessa regione. L’Oriente non può essere immaginato senza cristiani”.
In conclusione il presidente iracheno si è augurato che il “ritorno degli sfollati e degli espatriati dai Paesi di asilo inizi senza coercizione, e ciò richiede un lavoro vigoroso per lo sviluppo economico e la stabilità della sicurezza in tutta la regione”, in modo da attrarre “immigrati ed espatriati, in prima linea i cristiani e gli yazidi”. “Noi, discendenti del Profeta Abramo, seguaci delle religioni abramitiche” non possiamo accettare “che il terrorismo e l’estremismo siano praticati in nome della religione”. L’auspicio finale di Salih è che si concretizzi l’iniziativa per istituire la “Casa di Abramo per il dialogo religioso” e una Conferenza permanente per il dialogo, “sotto la supervisione dei delegati del Vaticano, di Najaf, di Al-Azhar, di Zaytuna”.