“Stiamo vivendo un momento di gratitudine, una fase molto importante della nostra vita diocesana. La nostra Chiesa di Roraima riconosce all’istituto missionario della Consolata una grande parte della sua storia e della sua identità, visto che i missionari e le missionarie della Consolata sono presenti qui in Roraima dal 1947-48, sono una parte fondamentale non solo per l’identità in sé della Chiesa cattolica, ma anche per l’identità del popolo”. È quanto afferma al Sir padre Lucio Nicoletto, missionario fidei donum della diocesi di Padova e vicario generale della diocesi di Roraima, nell’omonimo Stato del Brasile settentrionale. A Boa Vista sono già in attività le sessioni del Tribunale diocesano chiamato a un primo esame sulla guarigione miracolosa di un indigeno, Sorino Yanomami, che, se confermata, aprirebbe la strada alla canonizzazione del fondatore delle Congregazioni dei padri e delle suore della Consolata, il beato Giuseppe Allamano”.
Gratitudine e fede, dunque, sono le “cifre” di questo momento, al di là della pur importante vicenda della presunta guarigione miracolosa, spiega padre Nicoletto: “Quando i missionari sono arrivati qui, la popolazione era molto ridotta: Roraima è cresciuta assieme ai padri e alle suore, grazie alle loro istituzioni educative. Sono stati dei missionari a tutto campo, per cui domenica in una certa maniera si è celebrato un riconoscimento della presenza dell’istituto, si è vissuto un atto di fede; per noi miracolo non è un fatto fuori dal normale, è riconoscere l’azione di Dio nella vita di ogni giorno, che agisce quando trova il cuore aperto delle persone. Questa gratitudine si esprime anche attraverso questo segno, che ora viene analizzato e comprovato”.
Infatti, “Sorino Yanomami, pur non aderendo alla fede cristiana, riconosce che il bene che ha ricevuto è arrivato soprattutto grazie alle cure, alle suore e alle persone che lo hanno sostenuto e hanno pregato per lui, riprendendo la vita prima dell’incidente, dopo che il giaguaro gli aveva fracassato il cranio. All’epoca rimase in ospedale 90 giorni e riprese poi una vita normale”. Un fatto che dopo 25 anni viene indagato, per essere comprovato.