C’è una storia che racchiude in sé echi ad eventi di questi giorni. E’ quella di tre religiose: Floralba Rondi, Clarangela Ghilardi e Dinarosa Belleri. Tre perfette sconosciute ai più come alla cronaca – le cui storie nascono e muoiono alla velocità degli efemenotteri – se non fosse che Papa Francesco il 20 Febbraio scorso ha autorizzato la Congregazione della Causa dei Santi a promulgare i decreti che riconoscono le virtù eroiche delle tre religiose, appartenenti alla Congregazione delle Suore Poverelle, riconosciute tutte “Serve di Dio”.
Che cosa hanno fatto e perché la loro storia ci riporta ad oggi con un ventaglio di echi diversi è presto detto.
Innanzitutto, la scena del compimento delle loro virtù è quel Congo dove proprio la scorsa settimana sono stati uccisi il giovane ambasciatore italiano Luca Attanasio e l’ancor più giovane carabiniere Vittorio Iacovacci. Per certo, stando a quanto si è letto, le tre Serve di Dio come i due servitori dello Stato hanno vissuto la causa a cui si sono votati non solo con dedizione e convinzione ma anche con generosa larghezza d’altruismo.
In secondo luogo, fa eco ai nostri giorni, da oltre un anno funestati dalla pandemia, la causa della loro morte: il virus ebola, molto più terribile del nostro Covid 19, che pure non scherza per la diffusione larghissima di contagi e vittime. Ebola si diffuse proprio a partire dal Sudan e dalla Repubblica Democratica del Congo dove le tre religiose operavano, la prima esperta in medicina tropicale, le altre due come infermiere; la prima scomparsa il 25 aprile del 1995 a Mosango, le altre due rispettivamente il 6 e il 14 maggio a Kikwit dove nel ’95 si registrò un focolaio che causò 245 vittime. Ironia della sorte, o giochi della storia, le prime due erano native di comuni della provincia di Bergamo, la terza era di un paesino a nord di Brescia. Zone dove oggi il coronavirus colpisce pesantemente.
Floralba, al secolo Luigia Rosina (1924), presto orfana di mamma ne ricoprì il ruolo prendendosi cura dei suoi sette fratellini prima di dedicarsi a quella vocazione che sentiva in cuore.
Clarangela, al secolo Alessandra (1931), lavorò in una fabbrica di bottoni e poi in una casa di riposo dove operavano quelle suore Poverelle dal cui esempio rimase incantata tanto da seguirlo essa stessa.
Dinarosa, al secolo Teresa Santa (1936), le suore Poverelle le conobbe in oratorio e, dopo una parentesi in una officina metallurgica, le seguì nella fede dedicandosi ai malati di tubercolosi.
Il destino, che è sempre intessuto di cielo e umana volontà, le ha raccolte tutte e tre in Congo, dove ebola si è manifestato col suo tremendo carico di febbri emorragiche.
Erano lì, votate a Dio e ai fratelli, specie agli ultimi della storia. E nessuno è più ultimo di un malato molto infettivo e morente. Non si tirarono indietro. Come l’ambasciatore e il carabiniere. Come gli oltre 300 medici e 80 infermieri che sono morti in Italia per curare i nostri malati Covid.
Da ultimo, solo da ultimo, l’ultima piccola ma immensa eco è con una festa della donna che si avvicina, sempre più fuori luogo: ingiusta perché ancora impari da una parte, lugubre dall’altra, perché macchiata da troppi femminicidi, da persone sempre più tese e fragili, mendicanti di un amore che proclamano e calpestano con parole ingiuriose e mani insanguinate.
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