“La pandemia deve essere letta come un appello ad essere creativi; non è separatore tra un prima e un dopo, ma un evidenziatore di problemi preesistenti. Quello che sta accadendo non è altro che un’accelerazione di quanto era già in atto. Per questo occorre leggere questo tempo per trovate stili nuovi, diversi”. Lo sostiene don Michele Falabretti, direttore del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei, parlando al webinar “Gli stili di vita degli adolescenti e la prevenzione nei comportamenti a rischio”, promosso ieri pomeriggio dalla Pastorale Cei della salute.
Per Falabretti la il Covid-19 “non può esser misurato solo sul numero dei morti; la sofferenza che ha causato in tutti non è da trascurare”. Al quadro di una salute mentale già oggi “fortemente minata nella fascia giovanile”, prosegue facendo riferimento ai dati presentati dallo psichiatra Paolo Alfieri che lo ha preceduto, “dobbiamo aggiungere gli effetti che la pandemia sta producendo e produrrà nella mente dei ragazzi. Nella stragrande maggioranza di quelli che in ospedale non arrivano, quali saranno le conseguenze? Nascono domande dalle quali non si può fuggire. Mentre un terremoto, una catastrofe, una malattia fisica producono effetti evidenti, il virus sta scavando in modo subdolo e silenzioso e sta provocando ferite profonde. Noi adulti e educatori dobbiamo sapere prendere in mano questa situazione: i metodi educativi devono uscire dagli schemi usati fino ad oggi”.
Di qui l’invito a insegnanti, educatori e catechisti ad “ascoltare i ragazzi, a trovare il modo di incontrarli ed entrare in dialogo effettivo con loro: lasciarli parlare. Anche nella chiesa e negli oratori”. Questo tempo di pandemia “è un richiamo per tutti all’idea che la cura degli adolescenti richiede che non vengano solo istruiti, ma anche capiti. Si deve perdere tempo con loro rendendoli protagonisti dell’esperienza educativa” che deve essere “un’azione sistemica: famiglie, educatori, volontari in linea con la scuola, la pubblica amministrazione, gli ospedali, il mondo dello sport e delle associazioni”. Insomma, “occorre creare una rete di comunità”.