“È stata un’esperienza dura, impegnativa – sottolinea don Marco –. A volte subentra anche un senso di impotenza, come quando un paziente ti chiede un po’ d’aria e non sai come aiutarlo”.
La Chiesa di Padova si è sentita coinvolta dall’emergenza ed ha deciso di lanciare un segnale concreto chiedendo a Don Marco di alleviare la solitudine dei malati, impossibilitati a ricevere visite, e di dare sostegno umano e spirituale al personale ospedaliero e medico.È stata una decisione presa dal vescovo Claudio Cipolla e annunciata durante l’omelia della Messa del 2 novembre 2020, celebrata al cimitero Maggiore di Padova: “Per indicare che i cristiani sono chiamati a servire la vita in tutti i suoi momenti, anche quelli della malattia, ho incaricato un prete della nostra Diocesi per una missione particolare: stare 24 ore su 24 presso l’ospedale di Schiavonia a disposizione degli ammalati di Covid, dei loro famigliari, degli operatori sanitari: un modo per annunciare il Vangelo della vita, un segno per invitare tutti a servire la vita e a testimoniare che Dio ama la vita, questa nostra vita umana anche nei suoi momenti più estremi”.
Con il nome scritto con il pennarello sulle tute anti Covid, come medici ed operatori sanitari, Don Marco ha vissuto, nel novembre 2020, all’interno dell’ospedale seguendo anche un corso di “vestizione” per apprendere il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione in dotazione ai sanitari.Bardato con camice, calzari, cuffietta, visiera, guanti e mascherina ha fatto quotidianamente il giro dei malati colpiti dal virus per portare conforto e fiducia, sostenendo le famiglie di coloro che hanno perso i propri cari.
Don Marco ha raccontato la sua straordinaria esperienza umana a Giovanni Panozzo nel corto dal titolo “Vide e si fermò”, filmato della serie sulle vite e sulla missione dei sacerdoti, disponibile nel canale youtube Insieme ai sacerdoti
“La prima medicina che somministro è quella della speranza.
– spiega don Marco – Spesso le persone ricoverate, soprattutto nei primi giorni, sono intimorite dalla malattia che non sanno come evolverà. Io le ascolto e prego con loro. Anche se, secondo i protocolli, la visita deve essere veloce vedo che, di solito,quando si comincia a pregare, le persone si rasserenano.Bisogna far sentire meno soli gli ammalati perché il virus isola molto. C’è proprio il desiderio di una parola di conforto, l’isolamento è un tempo in cui si può diventare tristi, impauriti, e la vicinanza di qualcuno aiuta a superare questi stati d’animo”.
Dalla preghiera in corsia a quella in Chiesa. Nel pomeriggio il cappellano si è dedicato all’aspetto spirituale, celebrando la Messa nella cappella del Covid Hospital, dotata di una telecamera che rimanda le immagini in diretta nelle televisioni a circuito chiuso poste ai piedi di ogni letto per consentire ai malati di pregare tutti insieme, senza che nessuno si debba spostare dalla propria stanza.
Due volte alla settimana ha officiato la Messa per il personale e la sera, si è sempre collegato online con i fedeli delle sue quattro parrocchie, affidate provvisoriamente ad altri due sacerdoti, per far sentire loro la sua presenza e vicinanza.
Don Galante ed altri 34 mila sacerdoti in tutta Italia hanno bisogno di essere aiutati nel compiere la loro missione attraverso una offerta per il sostentamento dei sacerdoti.Direttamente dal sito www.insiemeaisacerdoti.it