Ci siamo ancora ben dentro, la pandemia. Eppure hanno ragione coloro (e sono tanti) che hanno salutato la decisione unanime del Parlamento di istituire la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia di coronavirus come un gesto di buona politica, di politica buona.
La tragica contabilità del virus, per cui la data è stata scelta perché è quella che ha segnato il maggior numero di vittime in Italia, l’ha sistemata in un giorno significativo.Il 18 marzo infatti sta in mezzo alla “Giornata nazionale – voluta da Ciampi – dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera”, che cade il giorno della legge di proclamazione dell’Unità d’Italia, nel 1861 e ad una Festività soppressa come ricorrenza civile negli anni Settanta, per micragnose ragioni di bilancio, ma cara a tutti gli italiani, San Giuseppe.
L’astuzia del calendario, ovvero le ricorrenze contigue, ci possono dare allora la misura del significato che questo giorno oggi assume e può assumere in prospettiva.
Deve essere una giornata di riflessione, di unità e di impegno.
Di riflessione, prima di tutto, ovvero di verità e nello stesso tempo di pietà e di comunità. Il virus ha messo a nudo le tante bugie di un mondo malamente globalizzato, a partire dai dati sull’origine stessa del sars-cov2 e poi sui modi di fare fronte ad un evento che pure era stato ipotizzato ma nei confronti del quale tutti sono risultati impreparati.
Tutti abbiamo fatto l’esperienza del valore della vita e della comunità. Unità dunque, come sola strategia possibile, così ben interpretata da un Capo dello Stato che si vaccina al proprio turno, come tutti. Troppe cose (su cui occorre essere vigilanti, dire ed esigere la verità) rischiano di richiamare nel popolo paura o rabbia, due facce della stessa medaglia.
Per questo è necessario che chiunque abbia responsabilità – e in fin dei conti la abbiamo tutti nei confronti di ciascuno, a partire dal prossimo più vicino – sia messo in condizione di esercitarla al meglio.
Il 18 marzo dunque non può essere una giornata come le tante altre che affollano il calendario: non ci si può permettere il minimo tasso di retorica.Per questo è bene che preceda la festa di San Giuseppe, cui proprio quest’anno – e nulla in fin dei conti avviene a caso – papa Francesco ha deciso di dedicare un anno speciale. Con una lettera che lo presenta innanzi tutto con il suo “cuore di padre”, descrivendone poi sette aggettivi, tra cui il “coraggio creativo”. Onorare le vittime del coronavirus, pari ormai alle proporzioni di una città capoluogo di provincia – e ciascuno in Italia ha qualcuno da piangere – significa essere consapevoli che dalla pandemia non si esce – ce lo ha ricordato papa Francesco – uguali, ma migliori o peggiori.Per uscirne migliori, serve l’alleanza del cuore e della ragione, quel “coraggio creativo” che proprio le avversità possono ispirare.
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