Riprende l’account Twitter del cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon e presidente dei vescovi del Myanmar. È l’arcidiocesi di Yangon ad annunciare sulla sua pagina Facebook il ripristino del social sospeso nei giorni scorsi e il primo post è dedicato a Papa Francesco che, al termine dell’udienza di mercoledì 17 marzo, ha rivolto un pensiero al Myanmar: “Anche io mi inginocchio sulle strade del Myanmar e dico: cessi la violenza. Anche io stendo le mie braccia e dico: prevalga il dialogo. Il sangue non risolve niente. Prevalga il dialogo”. Via Twitter, il cardinale di Yangon risponde alle parole del Papa: “Santità, grazie per il suo amore e la sua attenzione”. A confermare al Sir l’avvio dell’account è l’Ufficio comunicazioni della Conferenza episcopale del Myanmar aggiungendo però che la situazione è sempre più critica e che sono attesi nuovi blackout di Internet che mirano a bloccare soprattutto i cellulari con i quali comunicano tra loro i giovani che stanno manifestando in tutto il paese contro il golpe militare del 1 febbraio. Era stato il cardinale Bo a chiedere a Twitter di rimuovere il suo account. Ancora ad oggi non è stato chiarito chi si sia indebitamente attribuito il social e il suo nome. Oltre ad esprimere parole di gratitudine a Papa Francesco, l’arcivescovo rilancia il suo messaggio del 15 marzo scorso per la Giornata di preghiera per il Myanmar: “Un nuovo Myanmar risorgerà dalle ceneri. Come ci riusciremo? Con la fede, la preghiera, l’amore, il dialogo e il coraggio. Parlando per la verità, la giustizia, la libertà, la pace e la democrazia”.
Purtroppo, però, oltre alle “buone” notizie”, continuano ad arrivare ogni giorno informazioni dal Myanmar sempre più allarmanti. Più di 200 persone sono state uccise durante le proteste secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet, aggiungendo anche che il bilancio potrebbe essere molto più alto in quanto l’agenzia delle Nazioni Unite non ha accesso ad alcune aree del Paese dove potrebbero esserci state più uccisioni. Sarebbe invece circa 2.400 persone arrestate. Le forze del generale Min Aung Hlaing hanno imposto la legge marziale in sei aree di Yangon, dopo che gruppi sconosciuti hanno appiccato incendi dolosi a fabbriche finanziate dalla Cina e dopo che il grande Paese asiatico ha protestato contro il Myanmar.
La censura e l’oscurità. Con il taglio della rete mobile in tutto il paese e con le poche informazioni in uscita è difficile per le testate giornalistiche, le organizzazioni e i gruppi in difesa dei diritti umani valutare e verificare la situazione attuale. Manifestanti e giornalisti stanno facendo il massimo e nel massimo rischio per riprendere e inviare dai loro telefoni cellulari le dimostrazioni in diretta e documentare le repressioni della polizia. Per questo i militari hanno preso di mira i media. “Il 17 marzo 2021– scrive una fonte locale al Sir che per protezione rimane nell’anonimato – sarà ricordato come il giorno in cui la libertà di stampa del Myanmar – per quanto parziale e imperfetta fosse – è morta veramente. A partire da questo giorno, il paese non ha più un singolo giornale stampato indipendente. Mercoledì, The Standard Time (San Taw Chain) ha sospeso le pubblicazioni dopo The Myanmar Times, The Voice, 7Day News e Eleven. C’erano voluti 10 anni, perché “la censura diventasse un ricordo del passato. Erano state rilasciate nuove licenze; il numero di organi di stampa è proliferato, nel segno di una nuova fiducia nelle riforme politiche ed economiche in corso. La chiusura dell’ultimo quotidiano indipendente del Myanmar segna una nuova pietra miliare nella discesa politica del Paese. Ora solo i media online rimangono l’ultima ancora di salvezza per milioni di cittadini alla disperata ricerca di fonti di informazioni affidabili. Per questo, il nuovo regime sta agendo per tagliare anche quest’ultima connessione e far precipitare così il paese nell’oscurità”.
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