Giovanni M. Capetta
L’amore alla sposa diventata madre e l’amore ai figli sono per l’uomo la strada naturale per la comprensione e la realizzazione della sua paternità. Soprattutto là dove le condizioni sociali e culturali spingono facilmente il padre ad un certo disimpegno rispetto alla famiglia o comunque ad una sua minor presenza nell’opera educativa, è necessario adoperarsi perché si recuperi socialmente la convinzione che il posto e il compito del padre nella e per la famiglia sono di un’importanza unica e insostituibile.
Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.25, 22 novembre 1981
Anche riguardo alla figura dell’uomo quale sposo e padre, Giovanni Paolo II ha parole profetiche che anche oggi risultano particolarmente attuali. La sposa è carne dalla sua carne e ossa dalle sue ossa e da questo riconoscimento, che risale alla Genesi, deriva l’eguale dignità della donna rispetto all’uomo. Sposo e sposa vivono “una forma tutta speciale di amicizia personale”, ma ancora di più l’amore che lo sposo ha per la propria sposa è, in virtù del sacramento, la stessa carità che Cristo ha per la Chiesa. Una dimensione che talvolta fa mancare il fiato per quanto è alta, eppure è a questo che i coniugi cristiani sono chiamati. Una complicità fatta di sostegno reciproco ma uno di fronte all’altro con piena e integrale dignità. Per vivere in questo modo, con questa intensità, la relazione di coppia, ci vuole coraggio, prima di tutto il coraggio di saper andare controcorrente rispetto ad un contesto culturale che ancora considera normale, per esempio, che i padri siano più disimpegnati rispetto all’accudimento dei figli e alla loro educazione. Nonostante i proclami di parità fra i sessi, bisogna riconoscere che se sono stati fatti tanti passi in avanti, rispetto al 1981, ancora c’è da impegnarsi perché non sia considerato strano, per esempio, che i padri prendano congedo parentale per assistere moglie e figlio subito dopo il parto; è bello vedere padri che si occupano dei loro figli piccoli, li cambiano, li nutrono, giocano con loro. Si tratta di abitudini che i genitori di oggi hanno assunto con sempre maggiore convinzione, differenziandosi dalle generazioni precedenti in cui le mamme erano sostanzialmente le uniche gestrici della prole. Ormai sulla carta è assolutamente conclamato che la presenza del padre in casa sia fondamentale per la crescita armonica dei figli. Il Papa stigmatizza anche il fenomeno del “machismo”, una deriva che vede nell’uomo un “cacciatore” alla ricerca spasmodica di soddisfazione e che vorrebbe riconoscere al maschio una superiorità che, invece, oggi non ha più alcuna ragion d’essere. Quanto è più benefico, invece, che gli uomini si dedichino alle loro mogli e ai loro figli sapendo differenziare le loro azioni, rispetto alla sola attività lavorativa. Spesso si dice che i padri recuperano la mancanza di tempo passato coi propri figli con piccoli momenti “di qualità”, ma è una teoria fragile e nulla può compensare davvero l’assenza, soprattutto quando i figli chiedono ascolto, comprensione, sostegno. Oggi non possiamo più permetterci di credere che sia sano competere fra i coniugi su chi sia più gratificato dal proprio lavoro: è tempo di orientare la vita della famiglia dando alle professioni il giusto posto. Non viviamo per lavorare, ma lavoriamo per vivere e dobbiamo riconoscere che questo cambia le cose, vuol dire assumersi come prima responsabilità non quella di portare a casa lo stipendio ma quella di essere uno sposo tenero ed affettuoso, un padre accogliente perché niente come questo cementa la famiglia. Si può pensare che la roccia su cui costruire la propria casa siano le risorse economiche, ma non è così. Ai fidanzati non si finirà mai di trasmettere la convinzione che prima viene il riconoscimento del dono che si è l’uno per l’altro e come questo dono non possa essere mai dato per scontato, ma vada alimentato quotidianamente. Uomini e donne coraggiosi sono quelli che sanno riscoprirsi ogni giorno e hanno l’acume affettuoso di accogliere quello che l’altro è prima di quello che l’altro fa.