Fabio Zavattaro
Domenica delle Palme per la seconda volta senza processione in piazza san Pietro, senza folla, mani che agitano palme e ulivi. Ancora la pandemia che segna la festa, celebrazione dell’ingrasso festoso di Gesù a Gerusalemme. “L’anno scorso eravamo più scioccati, quest’anno siamo più provati. E la crisi economica è diventata pesante” dice Papa Francesco all’Angelus. “In questa situazione storica e sociale, Dio cosa fa? Prende la croce. Gesù prende la croce, cioè si fa carico del male che tale realtà comporta, male fisico, psicologico e soprattutto male spirituale, perché il maligno approfitta delle crisi per seminare sfiducia, disperazione e zizzania”. Male, come la violenza che si consuma in Myanmar con le sue numerose vittime; come l’attentato avvenuto nella mattina davanti la cattedrale di Makassar in Indonesia.
Gesù sale sulla croce, dice il Papa, “per scendere nella nostra sofferenza”, per avvicinarsi a noi “e non lasciarci soli nel dolore e nella morte”. Celebra nella basilica vaticana Francesco, pochi fedeli nel rispetto delle norme anti Covid. Liturgia nella quale facciamo memoria di un ingresso nella città santa diverso dal solito; l’ultima tappa sono due località nei pressi del monte degli ulivi citati da Marco nel suo Vangelo: Betfage e Betania. Per entrare a Gerusalemme chiede ai suoi discepoli di trovare una cavalcatura semplice, umile, come quella di un asino. La gente attende per Pasqua “il liberatore potente, ma Gesù viene per compiere la Pasqua con il suo sacrificio”, la gente “aspetta di celebrare la vittoria sui romani con la spada, ma Gesù viene a celebrare la vittoria di Dio con la croce”.
Entra nella città santa con l’intenzione di rivelare chiaramente la sua missione; sa che sono le sue ultime ore di vita terrena, sa che gli amici, i discepoli non esiteranno Giuda a tradirlo, e Pietro a rinnegarlo per tre volte. L’ingresso trionfante, per alcuni versi, metafora dell’effimera gloria terrena, di come l’uomo possa esaltare e successivamente condannare senza chiedersi perché. Una radice è un fiore che disprezza la fama, scrive Khalil Gibran.
Gesù sale sulla croce, afferma Papa Francesco e prova “i nostri stati d’animo peggiori: il fallimento, il rifiuto di tutti, il tradimento di chi gli vuole bene e persino l’abbandono di Dio. Sperimenta nella sua carne le nostre contraddizioni più laceranti, e così le redime, le trasforma. Il suo amore si avvicina alle nostre fragilità, arriva lì dove noi ci vergogniamo di più. E ora sappiamo di non essere soli: Dio è con noi in ogni ferita, in ogni paura: nessun male, nessun peccato ha l’ultima parola. Dio vince, ma la palma della vittoria passa per il legno della croce. Perciò le palme e la croce stanno insieme”.
L’immagine che il Papa propone, nella sua riflessione all’Angelus, è Maria, “la prima discepola”: ha seguito il figlio “ha preso su di sé la propria parte di sofferenza, di buio, di smarrimento e ha percorso la strada della passione custodendo accesa nel cuore la lampada della fede. Con la grazia di Dio, anche noi possiamo fare questo cammino. E, lungo la via crucis quotidiana, incontriamo i volti di tanti fratelli e sorelle in difficoltà: non passiamo oltre, lasciamo che il cuore si muova a compassione e avviciniamoci”.
Nell’omelia, in basilica, Francesco mette l’accento sul tema dello stupore, e dice che le palme e la croce stanno insieme, per questo “dobbiamo chiedere la grazia dello stupore. La vita cristiana, senza stupore, diventa grigiore. Come si può testimoniare la gioia di aver incontrato Gesù, se non ci lasciamo stupire ogni giorno dal suo amore sorprendente, che ci perdona e ci fa ricominciare?”
Diventa sorda la fede che perde lo stupore, “non sente più la meraviglia della grazia, non sente più il gusto del Pane di vita e della Parola, non percepisce più la bellezza dei fratelli e il dono del creato”. Se non siamo più capaci di stupirci, forse è “perché la nostra fede è stata logorata dall’abitudine. Forse perché restiamo chiusi nei nostri rimpianti e ci lasciamo paralizzare dalle nostre insoddisfazioni. Forse perché abbiamo perso la fiducia in tutto e ci crediamo persino sbagliati. Ma dietro questi ‘forse’ c’è il fatto che non siamo aperti al dono dello Spirito, che è colui che ci dà la grazia dello stupore”.
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