“La terribile prova della pandemia ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico”. È quanto si legge nel Messaggio della Cei per la festa del 1° maggio, in cui si fa notare che “nel mondo del lavoro si sono aggravate le diseguaglianze esistenti e create nuove povertà”. “Già prima di essa il Paese appariva diviso in tre grandi categorie”, fanno notare i vescovi: “Una composta da lavoratori di alta qualifica o comunque tutelati e privilegiati che non hanno visto la loro posizione a rischio. Essi hanno potuto continuare a svolgere il loro lavoro a distanza e hanno perfino realizzato dei risparmi avendo ridotto gli spostamenti durante il periodo di restrizioni alla mobilità”. Una seconda categoria, per la Cei, è composta “di lavoratori in settori o attività a forte rischio o comunque con possibilità di azione ridotta è entrata in crisi: commercio, spettacoli, ristorazione, artigiani, servizi vari”. “L’intervento pubblico sul fronte della cassa integrazione, delle agevolazioni al prestito, dei ristori e della sospensione di pagamenti di rate e obblighi fiscali ha alleviato in parte, ma non del tutto, i problemi di questa categoria”, si legge nel messaggio. Un terzo gruppo, infine, “è rappresentato dai disoccupati, dagli inattivi o dai lavoratori irregolari e coinvolti nel lavoro nero che accentua una condizione disumana di sfruttamento”: “Sono gli ultimi – commentano i vescovi – ad aver vissuto la situazione più difficile perché fuori dalle reti di protezione ufficiali del welfare. Va anche considerato il fatto che il Governo ha bloccato i licenziamenti, ma quando il blocco verrà tolto la situazione diventerà realmente drammatica”.

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