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Triduo Pasquale: il cuore e la speranza di tutto il messaggio cristiano

Claudio Maniago

Il Triduo Pasquale è il cuore di tutto l’anno liturgico e costituisce il vertice di tutto il culto cristiano. In esso infatti non soltanto si fa memoria dell’”ora” suprema della missione di Gesù ma si celebra anche la nascita di tutti i sacramenti, attraverso i quali noi oggi riceviamo l’amore di Dio, la sua salvezza. Durante il triduo non si ricordano semplicemente, come in una rappresentazione, gli eventi storici della vita di Gesù culminanti nella sua morte e risurrezione ma, attraverso le celebrazioni liturgiche di questi giorni, l’azione di Dio è resa particolarmente presente e operante e ciascuno di noi è sollecitato a “fare Pasqua” cioè a seguire Gesù per “fare il passaggio” da un’esistenza asfittica, disperata, chiusa in se stessa, a una vita vivificata dallo Spirito e quindi da quella carità che, spalancando il cuore ai fratelli, permette a Dio di entrare e portare luce e gioia.

La Messa vespertina del Giovedì santo, nella memoria annuale dell’ultima cena del Signore, mira a rivelare chiaramente la profonda identità dell’Eucaristia, sacramento di comunione e di unità nella Chiesa.

Almeno nel giorno in cui si ricorda la sua istituzione si vuol dare alla celebrazione eucaristica, per quanto possibile, la pienezza del suo significato, sotto tutti gli aspetti. Per questo il Messale sottolinea che “secondo un’antichissima tradizione della Chiesa, in questo giorno sono vietate tutte le messe senza il popolo”. Da questa prassi originaria delle Chiesa emerge che la messa non può mai essere una semplice devozione privata ma piuttosto un momento di comunione con il sacrificio d’amore del Signore che ripresentato nella celebrazione eucaristica alimenta la comunione con i fratelli e la fa crescere attraverso lo spirito di servizio vicendevole. Il brano evangelico di questo giorno proclama così il comandamento nuovo “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”. La celebrazione di questo giorno non si conclude come al solito, ma l’assemblea si scioglie senza alcun esplicito congedo. È come se la comunità cristiana fosse tenuta “in reperibilità”, cioè in permanente stato di convocazione fino al termine della Veglia Pasquale, quando il congedo sarà solennemente accompagnato dall’alleluia.

Nella tradizione popolare il Venerdì santo assume una dimensione di profonda tristezza, quasi di lutto, ma la liturgia di questo giorno, pur nella sua austerità, esprime una maestosa e serena solennità. Oggi non si celebra l’Eucaristia, ma dopo la liturgia della Parola c’è l’ostensione e l’adorazione della Croce, che è alla radice del sacramento dell’Eucaristia, del sacramento del corpo donato e del sangue versato. L’ora della morte di Gesù è celebrata dalla Chiesa come l’ora del trionfo (i paramenti non sono viola, ma rossi). Il linguaggio liturgico parla infatti di passione e morte gloriosa. Tristezza e gioia, solennità e austerità, si intrecciano in questo giorno in cui, mediante la sua morte Gesù ha dato inizio e insieme compimento alla sua e alla nostra pasqua.

Il Sabato santo è un giorno in cui la Chiesa non celebra l’Eucaristia. E’ il giorno che esprime simbolicamente la situazione dell’uomo su questa terra “nell’attesa che si compia la beata speranza” nella domenica senza tramonto. I cristiani vengono esortati a vivere questa giornata in un atteggiamento orante di interiore preparazione, meditando il grande mistero della Croce che ci tocca tutti da vicino. Al di là delle varie tradizioni popolari presenti nei vari luoghi, è ovvio che la Croce intronizzata il Venerdì santo deve restare il segno dominante per suscitare la preghiera.

In occidente nel corso dell’VIII secolo, soprattutto nei monasteri, si è diffusa una particolare devozione mariana in questo giorno, non senza un riferimento all’atteggiamento di fiduciosa attesa che deve aver caratterizzato il primo Sabato santo in cui “sola fra tutti…Maria conservò salda e intatta la fede”.

La risurrezione di Cristo è il cuore e la speranza di tutto il messaggio cristiano. Per questo la celebrazione della Pasqua è la massima celebrazione del culto cristiano. “La preminenza di cui gode la domenica nella settimana, la gode la Pasqua nell’anno liturgico”, quindi la Pasqua di risurrezione è la madre, la radice, la prima di tutte le domeniche. In particolare la Veglia pasquale non è semplicemente una Messa come le altre, ma una Veglia che si articola in diversi momenti che trovano il loro apice nella celebrazione dell’Eucaristia. Tutta la Veglia (lucernario, abbondante liturgia della Parola, liturgia battesimale e liturgia eucaristica) è strutturata in funzione dell’esperienza del Battesimo, sacramento dell’inserimento nella Pasqua del Signore (sepolti insieme con Cristo nella morte, risorti con lui alla vita immortale); ma anche quando non vi fossero battesimi, questa “notte di veglia in onore del Signore” intende portare comunque ogni cristiano alla radice della propria fede per ribadire con rinnovato vigore la scelta fondamentale di Cristo e del suo Vangelo.

(*) vescovo di Castellaneta e presidente della Commissione Episcopale per la liturgia

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