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“Voi in me ed io in voi”

Rimanere: un termine, un’immagine forse estranei al nostro mondo, un mondo in cui si fanno le cose per un momento, per un attimo, finché dura il piacere, finché c’è la novità, finché ci si guadagna un certo successo.
Rimanere, restare, perseverare: sono immagini che, invece, oggi la Parola ci presenta come fondanti della nostra relazione con il Signore.
«Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci».
Non è una minaccia quella di Gesù…ma la constatazione del fatto che, se non siamo innestati in qualcosa, in Qualcuno di più grande, se non siamo innestati in Cristo, non riusciamo a portare frutto, a portare vita.
Rimanere, restare, perseverare: non sono parole astratte, sono le parole che usa anche l’amore umano, parole che vanno a sottolineare l’importanza della relazione, la cura della relazione, la vita che è, che porta, che dà la relazione…la relazione con il Signore, innanzitutto. “Voi in me ed io in voi”, un rimanere reciproco perché, è vero, i tralci senza la vite non possono fare nulla, perché hanno bisogno della linfa per vivere ma anche la vite ha bisogno dei tralci, perché il frutto lo dà il tralcio, non l’albero. Noi che rimaniamo nel Signore, ma anche il Signore che rimane in noi.
E non temiamo di fronte ad un Gesù che ci dice: «Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto».
Rimanere nel Signore è stare saldi con Lui quando la sua Parola ci chiede di “tagliare”, separare, discernere, ogni giorno, tra bene e male, tra vita e morte, tra benedizione e maledizione. La potatura comporta, apparentemente, solo una ferita da guarire, ma, in realtà, è un ritrovare forza, vigore, dare slancio alla propria capacità di portare frutto, di dare la vita e di darla in abbondanza. Una potatura che è per la vita, anche se, a volte, può essere particolarmente dolorosa o inaspettata, o radicale.
E’ l’esperienza dello stesso San Paolo che, da persecutore dei cristiani, “tagliando” tutte le sue sicurezze precedenti, si affida a quel Dio che «gli aveva parlato» e lo spinge a predicare «con coraggio nel nome di Gesù».
Rimanere, per Paolo, è «stare con [gli apostoli]», dimorare all’interno di una comunità che sempre più «si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero». Uno stare che, per lui come per ciascuno di noi, oggi, all’interno della comunità che è la Chiesa, è scelta autentica, vera e reale nella sequela di Cristo.