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Pnrr. Zamagni: “Necessario un patto tra gentiluomini”

Andrea Regimenti

È in discussione in questi giorni il testo definitivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), comunemente conosciuto come Recovery Plan. Il Piano si inserisce all’interno del programma Next Generation Eu, che prevede investimenti per 750 miliardi di euro concordati dall’Unione europea in risposta alla crisi economica e sociale causata dal Covid-19. Nello specifico il Pnrr prevede investimenti per 222,1 miliardi di euro, declinati in diversi ambiti economici e diverse missioni: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e sociale; salute. Parla l’economista Stefano Zamagni.

Professore, cosa pensa del Piano nazionale di ripresa e resilienza?
La versione definitiva del Piano va bene. Sono stati smussati non pochi angoli e sono state inserite numerose indicazioni provenienti dalla società civile. Però, naturalmente, ora sopraggiungono i problemi.

In che senso?
Il problema maggiore è l’esecutorietà del Piano. Per ciascun progetto in cantiere sono stati stimati i costi e le date di impegno dei fondi corrispondenti parimenti alla data di attuazione definitiva degli stessi. Allo stesso tempo, dovranno essere annunciati i tempi di raggiungimento dei risultati intermedi, perché come sappiamo questi soldi ci verranno dati a scaglioni dalla Commissione europea e in base ai risultati già ottenuti. Quindi ogni semestre dovremo consegnare lo stato di avanzamento dei lavori. Se quest’ultimo si distanzierà dal Piano presentato non avremo la restante parte dei fondi. È questo quindi il vero problema.

Una sorta di spada di Damocle…
Esattamente. Le criticità sono date dal fatto che per dare esecutorietà ai progetti abbiamo bisogno di una cabina di regia, che abbiamo, ma anche e soprattutto che non ci sia il boicottaggio implicito da parte dei diversi soggetti della pubblica amministrazione che sono chiamati a realizzare i progetti. Nessuno degli interventi previsti dal Piano, infatti, chiama in causa una sola amministrazione di un determinato Ministero, ma tutti ne coinvolgono più di uno contemporaneamente. Se non si crea, quindi, una sorta di ‘patto tra gentiluomini’ per non boicottare vien da sé che sarà molto difficile attuare tutto. C’è poi anche un’altra circostanza che aggrava le cose.

Quale?
Nell’implementazione del Piano si creeranno dei comitati tecnico-operativi, di cui metà presi dalla pubblica amministrazione e metà esterni. Oltre al rischio di conflitti e gelosie c’è anche il problema che gli esterni una volta finito il loro compito torneranno a fare il loro lavoro lasciando tutto in mano alla pubblica amministrazione. Quindi, piuttosto che prendere qualcuno dall’esterno avrei cambiato la regola secondo cui i dipendenti della pubblica amministrazione vengono giudicati solo se hanno seguito correttamente l’iter di un progetto e non per il reale successo dello stesso. Pertanto secondo me è necessario cambiare la regola di ingaggio e valutazione per la messa in atto del Piano.

Quindi cosa auspica?
In un momento storico come questo l’unico fine perseguibile è il bene comune e si deve lavorare per raggiungerlo. Sono sicuro che sarà difficile e ci vorrà del tempo ma cerchiamo di essere ottimisti. Abbiamo comunque un’ottima burocrazia fatta di persone preparate. Mi piace pensare che ci riusciremo.

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