FORCE – Prosegue il viaggio a spasso per la nostra diocesi alla scoperta delle chiese più antiche. Conosciamo oggi l’unico edificio sacro attualmente agibile nella città di Force, la Chiesa intitolata a San Francesco che funge in questo momento da chiesa parrocchiale.

Quando ho preso accordi per andare a visitare la chiesa, una fedele del posto, mi ha detto: “Non si preoccupi, signora. Non servono indicazioni né occorre il nome della via. Lei vada per il centro di Force e, prima ancora di arrivare, vedrà che saprà dove andare!” Mi sono fidata e devo dire che la persona aveva proprio ragione! Enorme, imponente, maestosa: così mi si è presentata! Lungo la salita che mi ha condotto alla piazza, già da lontano, ho visto questo edificio grandioso in mezzo a tante altre abitazioni private che, al confronto, sembrano minute ed esigue. Un borgo antico, raccolto e pieno di spiritualità. E chi mai si sarebbe aspettato di trovare un edificio del genere in un paese di 1500 abitanti!

Incuriosita, prima di entrare, inizio a ricostruire la storia dell’edificio e scopro che la chiesa attuale risale al 1903, ma in realtà è stata creata sui resti di un antico monastero francescano, costruito tra il 1276 ed il 1368, che, a sua volta, era stato edificato nella vecchia chiesetta farfense dedicata a Santa Maria che si trovava all’altezza dell’attuale zona absidale, posta in prossimità della porta di accesso al paese e circondata da piccoli orti. Dagli atti della donazione con cui l’abate di Farfa regala l’edificio ai monaci, evinciamo tutta la storia.  Sembrerebbe che la comunità francescana sia arrivata a Force proprio inviata da San Francesco e che quindi questo sia uno dei monumenti voluti dal santo stesso. Del vecchio convento resta solo l’intercapedine tra le due facciate di cui sono visibili solo due frammenti, lasciati scoperti appositamente per testimoniare la datazione dell’edificio.

La chiesa esternamente presenta una facciata con paramento di mattoni, divisa in tre distinte parti: la parte centrale, più alta, corrisponde alla navata maggiore interna; le due parti laterali, più basse, corrispondono alle due pseudonavate laterali minori che avrebbero dovuto ospitare sei cappelle secondo il progetto iniziale, anche se invece ne sono state costruite solo tre.
Internamente l’edificio è un chiaro manifesto dello stile neoclassico ottocentesco, caratterizzato dal dibattito sull’opportunità di costruire edifici che richiamassero l’imponenza del passato o se invece iniziare a giocare un po’ sull’avanguardia e quindi sulla realizzazione di edifici di nuovo taglio: molte, infatti, sono le citazioni di stile diverso, come, ad esempio, le colonne composite o le finestrature.
Lo sviluppo longitudinale della chiesa, nuda, disadorna, essenziale, si conclude con il presbiterio rialzato di cinque gradini rispetto al resto dell’edificio. L’altare attuale è, in realtà, il retro dell’altare originario: all’epoca, infatti, si celebrava messa dando le spalle ai fedeli e sull’altare del retro si poggiavano i candelabri; quando, con il Concilio Vaticano II, sono cambiate le regole, la cosa più semplice da fare per adeguarsi alle nuove norme è stata tagliare l’altare che c’era davanti e lasciare solo la parte dietro che era più alta.
La pavimentazione è in marmo e travertino. La copertura della navata centrale è costituita da una classica volta a crociera; le navate laterali sono coperte da volte a botte; l’abside poligonale è coperta da una volta lunettata.

Tutto in questo edificio sembra richiamare all’essenzialità. Potremmo quasi dire che, con le sue forme ben squadrate e prive di ornamenti, assomigli ad un plastico. Questa impressione è dovuta al fatto che si tratta fondamentalmente di un’opera incompiuta. Essa è, infatti, la prima opera realizzata dal giovanissimo architetto Sacconi. La sua prima ipotesi di progetto risale al 1872 e, sebbene l’attuale chiesa sembri molto imponente, non è poi così imponente come era nel progetto di Sacconi! Molti abbellimenti ed arricchimenti sono stati lasciati in sospeso, non realizzati o solo parzialmente realizzati. I motivi di queste incompiute hanno a che fare con la storia della costruzione e della sua proprietà. Il terreno su cui insiste la chiesa era quello dell’antico convento francescano che venne incamerato nei beni demaniali con Napoleone, quindi di fatto proprietà comunale. Quando si decise di fare una nuova chiesa, perché la popolazione all’epoca stava crescendo e la chiesa parrocchiale esistente era insufficiente a raccogliere tutto il popolo radunato, si raggiunse un accordo: il comune avrebbe ceduto ai canonici il terreno a patto che i lavori venissero terminati in 5 anni. Si trattava di un accordo a dir poco particolare e svantaggioso per la chiesa, in quanto 5 anni per un’opera del genere sono un tempo molto limitato ed insufficiente! Probabilmente l’intenzione degli amministratori, che all’epoca erano di taglio liberale, era quella di trovarsi un terreno sgombero dal vecchio convento, con la demolizione a carico dei canonici, e magari di impiantare qui un istituto scolastico. Questo è quello che si evince da alcuni documenti scritti pervenuti fino a noi. Ma la tenacia di don Gaudenzio Lepri, un canonico forcese che ha dedicato tutta la sua vita alla realizzazione di questa chiesa, ha fatto sì invece che alla fine l’edificio, seppur con ritardo, venisse costruito: grazie alla sua capacità mediatrice, infatti, anche quando i tempi si sono allungati, ha trovato sempre una soluzione per prendere altro tempo e completare la chiesa. Nell’arco di circa 30 anni, il suo desiderio si è realizzato. Tutte queste informazioni a noi sono pervenute grazie al rinvenimento di una corrispondenza tra l’architetto Sacconi, Lepri e il capomastro che fisicamente dirigeva i lavori sul posto. Mentre Sacconi dava delle indicazioni per un corretto sviluppo dell’opera del cantiere, don Gaudenzio era solito fare pressing sul capomastro per tirare a chiudere i lavori e rendere l’edificio in qualche maniera fruibile. In una lettera, in particolare, l’architetto si lamenta dicendo che sembrerà “una casa di prigione più che una chiesa”. In altre parole la fretta di concludere i lavori non era compatibile con la grandiosità del progetto di Sacconi: ecco perché sono tante le tracce di incompiute. La facciata che vediamo oggi, ad esempio, è molto molto povera rispetto a quella concepita dal progettista che, invece, voleva richiamare il tempietto malatestiano ed aveva quindi previsto marmi, statue ed un timpano impreziosito da sculture. Anche le pseudo-navate laterali sono incompiute: delle sei cappelle presenti in fase progettuale ne sono state costruite solo tre: la più grande è quella dedicata al Santissimo Sacramento ed ha un’ampiezza così notevole da poter essere utilizzata come una piccola chiesa; la seconda cappella realizzata è dedicata ad Antonio Grassi, un beato di origini fermane appartenente ad una famiglia nobile: la terza è dedicata alla Beata Maria Assunta Pallotta, una missionaria nativa di Force, morta in Cina nel 1905, che, ancora giovanissima, ha contribuito alla realizzazione di questo edificio sacro, facendo da manovale e trasportando pietre. Infine un’altra traccia di incompiute è rappresentata dagli oblò presenti sopra ai reni delle arcate che avrebbero dovuto ospitare i 12 apostoli ed invece sono rimasti vuoti.”

Numerose sono le opere di pregio all’interno della chiesa. Una particolare menzione è per la statua di Sant’Antonio, una delle più interessanti del 700 Ascolano, che, grazie al contributo della Fondazione della Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno, è stata da poco restaurata.
Di particolare valore è anche la tela centrale dell’altare, settecentesca, recentemente restaurata, che rappresenta San Francesco che riceve le stimmate.
Poi da qualche anno, a seguito del terremoto che ha colpito la città, la chiesa di San Francesco accoglie anche il simulacro del Santissimo Crocifisso che, invece, generalmente è conservato nell’altare della chiesa di San Paolo Apostolo che però attualmente risulta inagibile. Questo crocifisso ha una storia del tutto particolare. In tempi molto antichi era conservato nella chiesa di San Salvatore in Aso, dove c’era il monastero farfense tra i più importanti dopo quello di Santa Vittoria. Leggenda vuole che un alluvione abbia distrutto tutto il convento e che questo Crocifisso, anziché andare verso il mare, risalisse le acque circondato da lumi accesi e che, tra tutte le altre popolazioni intervenute a soccorso dell’opera, soltanto i Forcesi riuscirono a recuperarlo e metterlo in salvo. In effetti le fonti storiografiche riportano che alla fine del 1591 ci sia stato un’alluvione tremenda in questa zona: abbiamo, infatti, alcuni documenti che ne elencano anche i danni procurati. La storia del Crocifisso, invece, è stata tramandata oralmente per una quarantina d’anni, poi dal 1632 ne abbiamo anche tracce scritte. Ancora oggi vengono riferite alcune testimonianze di miracoli, anche molto recenti.

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