DIOCESI – La Pasqua, ancora una volta ci ha ricordato che l’amore è Qualcuno: è Gesù Cristo incarnato, morto e risorto. Egli continua a farsi presente in mezzo a noi e a donarci il suo Spirito.  Il vescovo, in questo tempo così particolare, ci ha invitati a metterci in ascolto di ciò che lo Spirito dice alle Chiese, e noi stiamo cercando di essere attenti e docili alla sua azione.

La meditazione del libro dell’Apocalisse ci ha accompagnato in questo anno pastorale e ci ha permesso di far tesoro dell’esperienza delle sette chiese. Come non pensare a quanto Colui che tiene le sette stelle nella sua mano destra dice alla Chiesa di Efeso: “Tu fai tante cose belle, sei fedele, cerchi di essere coerente, hai resistito a quelli che ti volevano raccontare un cristianesimo sbagliato, sei perseverante, ferma, ma hai smesso di amare, non ami più ciò come prima” (cfr 2,2-6).  E’ proprio vero non basta fare le solite cose, per abitudine o per dovere. La vita diventa bella quando conosce quel di più che è l’amore. Noi sappiamo che l’amore è da Dio, viene dal Padre – l’Amante – ci è donato dal Figlio – l’Amato – per mezzo dello Spirito Santo -l’Amore – , ecco perché vogliamo radunarci e invocare insieme lo Spirito del Risorto, perché ci doni quell’amore, che unisce ed apre.

Occorre tornare “all’amore di prima”, non ad una situazione precedente, ma al primato dell’amore, perché solo l’amore fa vivere!

Colpisce anche quel “sembri vivo ma in realtà sei morto” che il Vivente dice alla Chiesa di Sardi. La situazione pandemica ha evidenziato ancora di più la crisi della Chiesa occidentale, ha messo in discussione le nostre sicurezze, ha ridimensionato – e non solo da un punto di vista numerico – le nostre comunità. Certo c’è la promessa di Gesù che le “porte degli inferi non prevarranno”, ma scriveva il cardinal Carlo Maria Martini: “La perennità è assicurata alla Chiesa, non alle Chiese; le singole Chiese sono corresponsabili del loro futuro, la loro sopravvivenza è legata alla loro risposta…Dunque la storia è seria ed è affidata a noi”.

Forse questo tempo ci è donato per fare pace con le nostre miserie, per abbandonare le nostre ipocrisie, per fare letture non parziali della realtà ecclesiale, che si fermano solo agli aspetti negativi, e ripartire dalla bellezza, che lo Spirito del Risorto dona pure alla nostra Chiesa.  Ecco il cammino che dalla Pasqua porta alla Pentecoste, come i primi discepoli invochiamo ancora lo Spirito, possibilità di vincere i nostri forti dubbi, le nostre paralizzanti paure, le nostre scandalose divisioni.

Si tratta di fare come la Chiesa di Filadelfia, che viene lodata dal Veritiero perché per quanto abbia poca forza, ha custodito la sua Parola e non ha rinnegato il suo nome (Cfr. 3,7-1£). Occorre farsi scavare l’orecchio dalla Parola di Dio. Scriveva Dossetti: “Il vangelo: che i preti e i laici, senza differenze […], si immergano nel Vangelo. Questo lo dico con una particolarissima e specifica insistenza, anche quantitativa: leggerlo, leggerlo, leggerlo, […] in un rapporto continuo, personale, vissuto, creduto con tutto l’essere […]. Ascoltare il Vangelo così com’è, senza glossa, come diceva Francesco […]. È di una profondità infinita, inesausta e inesauribile. E continuamente ci plasma, ci sostiene, ci forma, ci crea, come cristiani prima di tutto»

Dall’ascolto viene la fede che permette di vincere il terribile male della tiepidezza, caratteristica non solo della Chiesa di Laodicea: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Cfr Ap 3,14-22). E’ il male di una Chiesa ‘seduta’, autosufficiente, non segnata dalla passione della comunione. Da questo male si viene fuori solo vivendo relazioni autentiche con Dio e con gli altri, entrando in quella carità che è fatta di slanci, di passione, di coraggio. Ecco perché abbiamo bisogno del fuoco dello Spirito, fuoco che scalda, che illumina, che brucia.

Ed è lo Spirito che permette al Figlio e al Padre di prendere dimora dentro di noi: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).  Gesù si presenta come un mendicante, come qualcuno che bussa, come qualcuno che ripete anche a noi: “Se mi apri la porta, io entrerò in casa, mi metterò a tavola e cenerò con te”.  Questo è il motivo per cui ci ritroveremo per celebrare l’Eucarestia, per riconoscere ed accogliere il Risorto nel pane spezzato e nel vino versato, che la rugiada dello Spirito rende corpo e sangue di Cristo.

Ci ritroveremo Sabato 22 maggio in Cattedrale, attorno al Vescovo, con i rappresentanti delle realtà ecclesiali, e nelle parrocchie con le nostre comunità, per la veglia di Pentecoste, per celebrare l’Eucarestia ed invocare lo Spirito, perché ci doni il coraggio di annunciare il vangelo della gioia a questo nostro mondo.

Avendo iniziato l’anno della Famiglia “Amoris Laetitia” e di S. Giuseppe, l’uomo dei sogni, che si è preso cura del Bambino e di sua Madre, possiamo prendere in considerazione la possibilità di promuovere un’iniziativa che potremmo chiamare “Famiglia di prossimità”, un bel modo per far crescere la gioia dell’amore nelle piccole chiese domestiche. Si tratta proporre alle famiglie un affiancamento familiare, una forma innovativa di intervento sociale, pensata per sostenere le persone che vivono un periodo problematico, nella gestione della propria vita quotidiana. Il modello di affiancamento non si focalizza solamente sulla persona ma, dove è possibile, su tutto il suo nucleo familiare: una famiglia solidale sostiene e aiuta una famiglia in difficoltà, e tutti i componenti di entrambi i nuclei vengono coinvolti in una relazione basata sulla fiducia, sul consenso e sulla reciprocità. Un modo per vivere la gioia dell’amore.

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