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Ucs, Cremit e Ucsi, un volume per “riabbracciare la prossimità”

M.Michela Nicolais

“Leggere e abitare il messaggio di Papa Francesco con ritrovato spirito di comunità, nonostante l’isolamento e il distanziamento imposto per il secondo anno dalla pandemia da Covid-19”. Questo, scrivono Vincenzo Corrado e Pier Cesare Rivoltella nell’introduzione, l’intento principale del volume “Comunicare incontrando le persone dove e come sono”, che raccoglie commenti al Messaggio di Papa Francesco per la 55ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, dal titolo omonimo, preceduto dal binomio evangelico: “Vieni e vedi” (Gv 1,46). “Un modo per riabbracciare la prossimità in presenza, laddove è possibile, oppure grazie a feconde attività social o tramite piattaforme”, sostengono i due curatori dell’opera, che per il sesto anno consecutivo vede collaborare insieme l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali (Ucs) della Cei, il Centro di ricerca Cremit dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana). Un volume che, sulla scorta del Messaggio, va letto “nel segno della comunicazione come testimonianza” e che – come spiega Vincenzo Corrado, direttore dell’Ucs – ha due diversi destinatari: i professionisti della comunicazione, chiamati a “consumare le suole delle scarpe” per una rinnovata consapevolezza delle proprie responsabilità e del proprio compito, e ogni credente, interpellato a “venire e vedere”, a distinguere la comunicazione in senso profondo dalla semplice interazione.

Realtà e profezia. “C’è una lettura profetica della realtà che passa dalla prossimità agli uomini e alle donne, dalla cura delle persone”, spiega il direttore dell’Ufficio Cei: “È l’originalità propria del dinamismo della fede che non cerca protagonismo, ma permea la quotidianità, anche mediatica, attraverso la testimonianza della carità e l’ancora della speranza”. “Stiamo cercando di scoprire il lato umano della tecnologia”, gli fa eco Nataša Govekar, direttore della Direzione teologico-pastorale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, a proposito della comunicazione come ricerca incessante: “Stiamo cercando di dare alla Rete il valore positivo per il quale è stata ideata.

Nello spazio digitale, la nuova priorità sono le interazioni di prossimità.

Le piattaforme sociali si stanno evolvendo per diventare spazi co-creati, non solo qualcosa che usiamo”.  Sulla comunicazione intesa come spazio del quotidiano si sofferma mons. Valentino Bulgarelli, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale (Ucn) della Cei, secondo il quale “la domanda che ci dovremmo porre è: che cosa ne facciamo di questo quotidiano? O meglio, che cosa facciamo di noi attraverso il quotidiano?

Non è nella profondità che si annega, ma nella superficialità.

La catastrofe di un’esistenza si può celare nelle pieghe apparentemente innocue del quotidiano. Vivere il quotidiano significa dunque essere presenti a se stessi, essere completamente in ciò che si fa, abitare le parole che si pronunciano, insomma, divenire consapevoli o, per usare il linguaggio evangelico, essere vigilanti”.

Condividere e includere. Ad usare come parola chiave “condivisione” è Domenico Quirico, caposervizio esteri de La Stampa, che mette in guardia dalla “tentazione di non andare, di disertare i fatti per raccontarli al caldo o al fresco della redazione”, dal “giornalismo del sentito dire, del copia e incolla, dell’articolo scritto occhieggiando qua e là, emulsionando, omogeneizzando”. Come scrive il Papa, invece,

“non c’è giornalismo senza esserci, vedere di persona, ascoltare, captare atmosfera, rumori, odori, rabbia e paura, entusiasmo, fanatismo, odio e pietà”.

Ciò comporta, osservano Vania De Luca e Maurizio Di Schino a nome dell’Ucsi, la capacità di

“dare voce a chi non ha voce, mettere in luce le zone d’ombra,

cogliere quell’invito a ‘venire e vedere’ che tante realtà del pianeta rivolgono al mondo della comunicazione, ancora di più al tempo di una pandemia che non va vista, né raccontata, solo con gli occhi del mondo più ricco, considerando anche che il rischio di escludere le popolazioni più indigenti dai vaccini, e dalle cure mediche in genere, potrebbe rivelarsi un boomerang per l’intera umanità”.

Testimoniare e decodificare i messaggi. In questa prospettiva, Ruggero Eugeni, ordinario di Semiotica dei media all’Università Cattolica, fa notare che, “grazie al web e alle diverse forme di giornalismo civile e partecipativo ‘dal basso’, possiamo seguire testimonianze di prima mano circa eventi che per tante ragioni rimangono nascosti o che sono raccontati solo parzialmente pur possedendo un notevole valore etico, civile, simbolico. Non solo: noi stessi possiamo farci in prima persona testimoni attivi di situazioni marginali, periferiche, dimenticate, uscite dai radar dei media ufficiali”. Di qui la centralità della prospettiva educativa, che secondo Pier Cesare Rivoltella, direttore scientifico del Cemit, significa educare al pensiero critico per “introdurre un filtro tra le immagini e la loro ricezione da parte dei soggetti. Se ogni immagine, ogni informazione, è sempre costruita, ovvero risponde sempre a un lavoro semiotico di alterazione della realtà di partenza,

fare analisi significa decostruire, smontare, riconoscere le scelte che stanno alla base di quel lavoro semiotico”.

La seconda parte del volume si compone di una sezione esperienziale, grazie alle “Schede per un uso pastorale del Messaggio”, che traducono nella prassi comunicativa quotidiana le parole di Papa Francesco: 12 percorsi, pensati per educatori, genitori e operatori pastorali e della comunicazione, in modo da aprire il Messaggio all’incontro con il territorio. Tra le novità introdotte nell’edizione di quest’anno, un codice QR che conduce al portale Anicec.it, dove è possibile trovare, nell’area dedicata “Approfondimenti Gmcs”, ulteriori strumenti.

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