Di Pietro Pompei
In Terra Santa una guerra, eufemisticamente definita “ non dichiarata”, continua, nonostante gli inviti alla tregua da tutto il mondo. “Corsi e ricorsi della storia” avrebbe scritto lo storico Gian Battista Vico. Una verità che viene confermata dall’ultimo messaggio per la Pasqua del 2008 dall’allora patriarca latino di Gerusalemme Mons. Miclel Sabbah di preoccupante attualità. Se cerchiamo qualche diversità possiamo trovarla nel modo sempre più distruttivo delle armi, dove la scienza sta raggiungendo forme sempre più raffinate di danno. È impressionante come palazzi di numerosi piani vengono sbriciolati collassati da bombe che esplodono dal basso. È la stessa scienza che ha fatto e fa fatica a sconfiggere il Coronavirus che sul mercato materialmente è meno rimunerativo specie quando si chiede di portare il vaccino ai paesi poveri.
Così Mons. Sabbah scriveva: “Israeliani e palestinesi, dopo oltre un secolo di violenza, devono capire che con le armi non possono più difendere i loro popoli, li espongono al contrario a maggiore violenza, paura, insicurezza. È tempo che gli Stati e i responsabili politici accettino la loro vocazione, costruire le società e non distruggerle”.
Nel suo ultimo messaggio per la Pasqua, il patriarca latino di Gerusalemme Michel Sabbah – che il 19 marzo 2008 compiva 75 anni – si appellava ai leader politici israeliani e palestinesi per la fine della violenza. “Abbiamo bisogno di leader capaci di fare la pace – scriveva -, poiché è l’unica via per imporre un limite all’estremismo e cominciare una vera azione a favore della sicurezza. Dire che la pace è un rischio che non si può correre – proseguva il patriarca – equivale a dire che si resterà nella violenza e nella morte. Spetta ai capi scegliere tra pace ed estremismo. Abbiamo bisogno di capi pronti a pagare con la loro vita il prezzo della pace e non di leader che ordinano di uccidere e di assassinare”.
I metodi usati finora per ottenere la sicurezza vanno cambiati se non si vuole vivere in un costante ciclo di violenza..
Tornando all’attuale guerra abbiamo letto quanto padre Ibrahim Faltas, sacerdote francescano della Custodia di Terra Santa ha comunicato all’Agenzia Fides : “Lo abbiamo già visto e detto cento volte: quando si tocca Gerusalemme, dilagano fatalmente violenze e dolore, che travolgono tutti. Il cuore del conflitto, come sempre, è la Città Santa: E come riconosceva San Giovanni Paolo II, finché non ci sarà pace a Gerusalemme, non ci sarà pace nel resto del mondo”.
“Sullo sfondo di tutto” aggiunge il Vicario patriarcale, Mons. Marcuzzo “C’è il conflitto israelopalestinese che dura da decenni, e soprattutto l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi. Fino a quando non si affrontano e risolvono le cause che sono alla radice del conflitto, basta sempre una scintilla per far riesplodere tutto. Lo abbiamo già visto con la prima e la seconda Intifada”. L’attuale scatenamento della violenza – rimarca il Vescovo – è dovuto all’accumularsi di una serie di “circostanze infelici” che hanno riacceso la tensione intorno a Gerusalemme, vero nodo scoperto del conflitto: gli espropri di case palestinesi nel quartiere gerosolimitano di Sheikh Jarrah”.
Sappiamo che da parte loro i cristiani sono chiamati a «essere testimoni del Risorto», collaborando a «rimuovere il fardello che pesa sulla vita della gente causato dell’occupazione, dallo spargimento di sangue, dalla violenza e dall’odio reciproco». A tutti coloro che, sparsi nel mondo, aspirano alla pace in Terra Santa, i leader cristiani chiedono di «pregare perché la paura, principale ostacolo alla pace, possa svanire, le persone possano accettarsi gli uni gli altri e questa Terra diventare terra della Resurrezione.
(a cura di Pietro Pompei)