“Ci era stato promesso che esperti di impronte digitali sarebbero venuti a controllare la nostra macchina distrutta” così da rintracciare gli autori dell’aggressione, spiega Abunassar, “ma fino a questa mattina (sabato 15 maggio, ndr.) non si è fatto vivo nessuno”. Atteggiamento, quello della polizia e delle forze di sicurezza israeliane, che pone delle domande: “Perché i sistemi di sicurezza non sono riusciti a fermare gli ebrei radicali quando già si stavano radunando, prima del raid? Perché il poliziotto non è intervenuto quando mia figlia è corsa da lui a chiedere aiuto? Perché i poliziotti non sono riusciti a fornire alcuna protezione alle mie figlie? Perché nessuno degli aggressori ebrei è stato arrestato o detenuto nonostante il fatto che diverse altre auto di proprietà araba siano state danneggiate? E – soprattutto – come si sarebbero comportati i poliziotti se fossimo stati una famiglia ebrea?”. Per Abunassar, “la realtà più pericolosa che Israele sta affrontando al giorno d’oggi è far perdere la fiducia a molti nel sistema e consentire ad altri di comportarsi come se il sistema funzionasse per loro!”. “Molti arabi – rimarca il portavoce – credono che la polizia miri ad allontanarli dal Paese. Ma noi non andremo da nessuna parte. Questa è la nostra patria e crediamo che la stragrande maggioranza delle persone, di ogni estrazione etnica e religiosa, siano persone di buona volontà. Cercheremo di riorganizzare la ‘maggioranza silenziosa’ per fermare la ‘minoranza rumorosa e violenta’, sostenuta da massimi esponenti politici del Paese. Noi non perderemo la fede in Dio e nelle persone di buona volontà. Non fuggiremo ma resteremo saldi nella nostra patria per evitare che questo circolo vizioso ci porti – Dio non voglia -, se non proprio alla guerra civile, ad un accresciuto odio tra le varie componenti del nostro amato Paese. Aiutateci a proteggere non solo Israele, ma la possibilità di pace e di convivenza tra i popoli in Terra Santa e in Medio Oriente”.