Giovanna Pasqualin Traversa

Riflettere su un tema capace di unire tutto il sistema Paese, provare a fare proposte per invertire il trend demografico. Immaginare una nuova narrazione della natalità. Questi gli obiettivi degli Stati generali della natalità (Sgdn) promossi venerdì 14 maggio dal Forum delle associazioni familiari. Forti e inequivocabili le parole del premier Mario Draghi sulla necessità che lo Stato investa sulle donne e sulla possibilità di avere figli. Mai si era sentita la politica schierarsi a difesa della famiglia con tanta determinazione. Nel suo intervento, Papa Francesco ha definito la natalità “un tema urgente, basilare per invertire la tendenza e rimettere in moto l’Italia”. Perché “senza natalità non c’è futuro”. Il giorno successivo, in occasione della Giornata internazionale della famiglia, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ribadito che quest’ultima va sostenuta in quanto “nucleo vitale della società”. Di “pietra miliare che ci auguriamo diventi pietra d’inciampo” parla padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia e membro del Consiglio direttivo del Forum, al quale abbiamo chiesto un bilancio a caldo dell’iniziativa.

Padre Vianelli, la prima edizione degli Sgdn è riuscita ad avviare quella svolta culturale e politica di cui c’è bisogno per invertire l’ormai cronicizzata recessione demografica dell’Italia?
Ha certamente costituito un evento miliare; se poi riuscirà a scalfire quel muro di gomma che il sistema Paese da vent’anni continua a non vedere, lo verificheremo nei prossimi mesi o anni. Chi ha voluto questo appuntamento – il Forum e anche noi – si è assunto l’impegno di marcare il territorio. Il richiamo sul tema della natalità è stato forte: ora non se ne può più parlare in modo superficiale.

L’evento costituisce una pietra miliare; ci auguriamo diventi pietra di inciampo dalla quale non sia più possibile prescindere.

Le cose dette e la qualità delle persone che vi hanno partecipato fanno ben sperare. Noi continueremo ad impegnarci in questa direzione.

Le misure di sostegno annunciate sono adeguate? Il premier ha definito l’assegno unico universale per i figli “una di quelle misure epocali su cui non è che ci si ripensi l’anno dopo”.
In queste parole c’è un forte riconoscimento della famiglia ed anche dell’impegno del Forum che in questi anni ha lavorato dietro le quinte per modificare una cultura che considera il figlio un costo e un bene privato. In realtà

chi decide di avere un figlio è capace di futuro e va sostenuto perché ogni figlio è un bene comune e una ricchezza per tutto il Paese.

Questo è stato riconosciuto dalle più alte cariche dello Stato, e per la prima volta in maniera non ideologica. Finalmente si inizia a passare dalla logica di eventi spot che non garantivano nessun tipo di progettualità ad una logica più strutturata di sostegni come il Family Act. Certamente le misure messe in campo sono perfezionabili e devono essere viste nella loro globalità: l’assegno unico, ad esempio, non basta per risolvere i problemi della famiglia, e neppure l’allungamento dei congedi di maternità e paternità.C’è bisogno di una revisione culturale a tutto campo, a partire dalla creazione di condizioni che consentano alla donna di non dover scegliere tra maternità e lavoro, che non la costringano più a dover “nascondere la pancia”, come ha detto il Papa.

Anche Mattarella, il giorno dopo, ha infatti ribadito la necessità di sostenere questo “nucleo vitale della società”.
Durante gli Stati generali, il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha mostrato come di fronte al calo generalizzato delle nascite che alcuni anni fa interessava tutta l’Europa, scelte politiche lungimiranti di Paesi come Francia, Germania, Polonia e Ungheria abbiano invertito la tendenza. Noi siamo invece rimasti indietro.

Dal suo osservatorio avverte il desiderio nelle coppie di avere figli, e magari anche più di uno?
Il desiderio di fare famiglia non è scomparso, ma i giovani sono un po’ “paralizzati”, in particolare le donne, divise, come dicevamo prima, tra il dover scegliere fra lavoro e famiglia.Il valore della famiglia e dei figli, generalmente ancora molto riconosciuto, finisce per scontrarsi con il principio di realtà.Se oggi la prima causa di povertà è la perdita del lavoro, la seconda è costituita dalla nascita di un figlio; figuriamoci due… I giovani li desiderano ma poi decidono spesso di non averne.

Nel suo intervento agli Stati generali il Papa ha indicato tre direttrici: primato del dono, sostenibilità e solidarietà strutturale.
Una visione lungimirante e molto politica rilanciando valori in grado di costituire volani per rimettersi in gioco. Francesco ribadisce che non si può decidere di avere un figlio per pagare le pensioni: occorre rimotivarsi alla generatività riscoprendo il valore della gratuità e del dono. Noi abbiamo ricevuto il dono della vita; dobbiamo aprirci a nostra volta nel donare la vita a qualcun altro. Il secondo passaggio è quello della sostenibilità e della responsabilità che si ritrova in “Fratelli tutti” e “Laudato si’”. Sostenibilità intesa non come categoria esclusivamente ecologica, ma come categoria relazionale: per il Papa la scelta di avere figli alimenta la sostenibilità perché attiva il tema della cura, del bene comune, della responsabilità. Infine l’accento sulla solidarietà strutturale affinché questo bene non sia estemporaneo ma diventi parte della società.

A febbraio la Fondazione Forum delle associazioni familiari ha lanciato la campagna di micro donazione #1euroafamiglia, in sinergia con “Rete che ascolta”, il “pronto intervento famiglie” promosso lo scorso luglio dalla Cei e coordinato dal vostro Ufficio. Quali sono significato e obiettivo dell’iniziativa?
“Facciamo in modo che le famiglie si prendano cura di altre famiglie”, ci siamo detti pensando a questa iniziativa nata dal basso per trasformare un’idea di prossimità in risposta concreta ad un bisogno emerso durante la pandemia: la difficoltà economica temporanea di molte famiglie. Due i momenti del progetto: la raccolta fondi e la loro erogazione. La peculiarità consiste nel fatto che sono le famiglie a farsi soggetti primari – anche se stanno iniziando ad arrivare contributi pure da aziende – di aiuto per altre famiglie temporaneamente “fragili”. Non intendiamo sostituirci alla Caritas che si occupa di povertà ben più gravi, ma in Italia ci sono oltre 20 milioni di nuclei familiari: se anche la metà riuscisse a donare un euro al mese avremo un fondo sufficiente per intervenire su questi bisogni. Chi accede a questo credito non deve restituirlo, ma stipula in qualche modo un patto “solidale”: se tu ricevi del bene potrai attivare a tua volta forme di bene, non necessariamente economico.

In questo modo si creano relazioni e cultura della solidarietà.

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