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Papa all’udienza: “Perseverare nei tempi difficili è vero progresso spirituale”

M.Michela Nicolais

L’accidia “è una vera e propria tentazione contro la preghiera e, più in generale, contro la vita cristiana”.  Lo ha detto il Papa, nella catechesi dell’udienza di oggi, svoltasi nel Cortile di San Damaso e dedicata alle tre difficoltà principali che possono insorgere nella preghiera: la distrazione, l’aridità spirituale e l’accidia. Quest’ultima, ha spiegato Francesco, è “una forma di depressione dovuta al rilassamento dell’ascesi, a un venire meno della vigilanza, alla mancata custodia del cuore. È uno dei sette vizi capitali perché, alimentato dalla presunzione, può condurre alla morte dell’anima”. “Come fare dunque in questo succedersi di entusiasmi e avvilimenti?”, si è chiesto il Papa. “Si deve imparare a camminare sempre”, la risposta:

“Il vero progresso della vita spirituale non consiste nel moltiplicare le estasi, ma nell’essere capaci di perseverare nei tempi difficili.

Cammina, cammina, cammina, e se sei stanco fermati un pò e torna a camminare, ma con perseveranza”. Il segreto sta nella parabola di San Francesco sulla perfetta letizia: “non è nelle fortune infinite piovute dal Cielo che si misura la bravura di un frate, ma nel camminare con costanza, anche quando non si è riconosciuti, anche quando si è maltrattati, anche quando tutto ha perso il gusto degli inizi”. “Tutti i santi sono passati per questa ‘valle oscura’, e non scandalizziamoci se, leggendo i loro diari, ascoltiamo il resoconto di serate di preghiera svogliata, vissuta senza gusto”, ha osservato il Santo Padre, secondo il quale “bisogna imparare a dire: ‘Anche se Tu, Dio mio, sembri far di tutto perché io smetta di credere in Te, io invece continuo a pregare’”.

“L’aridità ci fa pensare al Venerdì Santo, alla notte, e al Sabato Santo, tutta la giornata: Gesù non c’è, è nella tomba, Gesù è morto, siamo soli. E questo è il pensiero madre dell’aridità”.

Così il Papa ha descritto uno degli ostacoli più frequenti alla preghiera. I maestri spirituali   descrivono l’esperienza della fede “come un continuo alternarsi di tempi di consolazione e di desolazione”, ha sottolineato Francesco: “momenti in cui tutto è facile, mentre altri sono segnati da una grande pesantezza”. “Tante volte – ha proseguito a braccio –  stiamo giù, non abbiamo sentimenti, non troviamo consolazione, non ce la facciamo.

Sono quei giorni grigi, e ce ne sono tanti nella vita. Ma il pericolo è il cuore grigio:

quando questo grigio arriva al cuore e l’ammala, e c’è gente che vive con questo cuore grigio. Non si può portare avanti un’aridità spirituale con il cuore grigio: il cuore deve essere luminoso, aspettare la consolazione, e se non entra aspettarla con speranza, ma non chiuderla nel grigio”.

“Pregare non è facile, ci sono tante difficoltà che vengono nella preghiera: bisogna conoscerle, individuarle e superarle”,

l’esordio a braccio della catechesi: “La preghiera convive spesso con la distrazione”, ha osservato il Papa, perché “la mente umana fatica a soffermarsi a lungo su un solo pensiero. Tutti sperimentiamo questo continuo turbinio di immagini, di illusioni in perenne movimento, che ci accompagna persino durante il sonno”. L’antidoto alla distrazione è la vigilanza, “virtù spesso dimenticata, ma tanto presente nel Vangelo”. “Spesso Gesù richiama i discepoli al dovere di una vita sobria, guidata dal pensiero che prima o poi Lui ritornerà, come uno sposo dalle nozze o un padrone da un viaggio”, ha sottolineato Francesco: “Non conoscendo però il giorno e l’ora del suo ritorno,

tutti i minuti della nostra vita sono preziosi e non vanno dispersi in distrazioni”.

I credenti, infatti, “non spengono mai la preghiera”, che a volte “può assomigliare a quella di Giobbe, il quale non accetta che Dio lo tratti ingiustamente, protesta e lo chiama in giudizio”.  “Tante volte – ha proseguito a braccio – anche protestare davanti a Dio è un modo di pregare”.

“Non dimenticare la preghiera del perché”, 

l’invito finale, ancora fuori testo: “È la preghiera che fanno i bambini quando cominciano a non capire le cose. Gli psicologi la chiamano l’età del perché”.

“Tante volte arrabbiarsi un po’ fa bene,

perché ci fa svegliare questo rapporto di figlio a padre, di figlia a padre, che noi dobbiamo avere con Dio”, ha concluso il Papa a braccio: “E anche le nostre espressioni più dure e più amare, Egli le raccoglierà con l’amore di un padre, e le considererà come un atto di fede, come una preghiera”.

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