Giovanni M. Capetta
L’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono. […] Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d’altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza.
Benedetto XVI, Deus Caritas est, dai nn. 2 e 5 – 25 dicembre 2005
Nel lunghissimo pontificato di Giovanni Paolo II avremmo potuto rintracciare ancora molti altri pronunciamenti esplicitamente dedicati alla famiglia (per esempio le numerose Allocuzioni rivolte alla Rota Romana in occasione della consueta inaugurazione dell’anno giudiziario) ma del resto il tema venne lateralmente sviluppato dal pontefice polacco anche in altri due importanti documenti come la Mulieris Dignitatem sul ruolo della donna e la Christifideles Laici, entrambe Lettere Apostoliche post sinodali già del 1988. C’era in papa Wojtyla una naturale consonanza con la realtà famigliare che gli derivava probabilmente soprattutto dai suoi anni di giovane sacerdote e vescovo. Diversa sicuramente l’esperienza di papa Benedetto XVI, che negli anni della formazione deve aver piuttosto frequentato ambienti ecclesiastici ed accademici e ha forse avuto meno occasioni di confrontarsi direttamente con ambienti famigliari. Di fatto nei suoi otto anni di pontificato il Papa emerito non ha mai dedicato documenti espliciti sulla famiglia, sebbene all’interno delle due encicliche Deus caritas est del 2005 e Caritas in Veritate del 2009 abbia modo di riferirsi all’istituto famigliare come alla “cellula vitale”, al “pilastro della società”. L’impressione è che la strategia pastorale di papa Ratzinger non sia quella di ribadire la convinzione della intrinseca bontà della famiglia, quanto piuttosto di riuscire a metterne in luce gli elementi di verità, di libertà, in una parola di amore che si contrappongono alla dittatura del relativismo da lui così strenuamente combattuta. Nella citazione sopra riportata papa Benedetto, con la sua capacità di scandagliare la profondità dei concetti espressi, offre alla comprensione dei fedeli e inevitabilmente delle coppie credenti, una verità fondamentale: non sia ama solo con il corpo, né si può amare solo con lo spirito. Ribadire il concetto secondo cui il corpo umano è fatto anche di spirito e lo spirito umano è uno spirito incarnato è una verità dirompente per il pensiero relativista dell’areopago sociale a cui il Papa si rivolge. Sembra proprio sentire Paolo che annuncia un Dio ignoto ai Greci: ad amare è la persona, nella sua dimensione unitaria, appunto, di anima e corpo. Quella che può sembrare una dissertazione solo filosofica, si rivela una verità antropologica dalle conseguenze rilevanti sul piano della prassi quotidiana. È difficile tenere uniti eros e agape e gli sposi ne fanno esperienza quotidiana. Eros è desiderio dell’altro che, se non controllato, può diventare in ogni momento una volontà soffocante di possesso e agape ha bisogno di segni, parole, concretezza per manifestarsi in modo unico ed irripetibile senza rimanere nella sfera delle elucubrazioni psicologiche o delle sole intenzioni.
Ancora Eros si trasforma, quasi si potrebbe dire “si lima” ogni giorno per passare dal desiderio della gratificazione immediata al desiderio del bene dell’altro; Agape può divenire sorgente di gioie anche attraverso le sofferenze vissute all’insegna della pazienza e della fedeltà. Un discorso arduo, non tanto nella sua comprensibilità, quanto nella sua attuazione, ma il Papa non ha dubbi e avrà modo di dire anche in altra sede che “il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa” (Discorso dell’11 maggio 2006 in occasione del XXV anniversario di fondazione del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia). Che l’amore umano sia immagine dell’amore di Dio e viceversa è una sfida mozzafiato nel contesto di sgretolamento di ogni valore che si fondi sui principi di fedeltà e stabilità, così dominante nei primi anni duemila. A papa Ratzinger va la gratitudine di tutta la comunità ecclesiale per aver saputo non arretrare di fronte al dilagante pessimismo sulle possibilità di amare dell’uomo. Non aver mai giocato al ribasso, esserci sempre confrontato con grande coraggio con la pervasività del pensiero debole dominante nei suoi anni. Benedetto XVI, fin dalla sua prima enciclica, ha incoraggiato tutti gli uomini e le donne di buona volontà a vivere secondo il Vangelo, attraverso un pensiero non solo proverbialmente alto e argomentato, ma in ultima istanza, profondamente innamorato di Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio
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