DIOCESI – Nel tardo pomeriggio di sabato 22 maggio il Vescovo Carlo Bresciani ha presieduto la Veglia di Pentecoste presso la nostra cattedrale “Santa Maria della Marina”. Hanno concelebrato con lui il Vescovo Emerito Gervasio Gestori, il Vicario Generale don Patrizio Spina, il Direttore della Caritas don Gianni Croci, don Tommaso Capriotti, don Alfredo Rosati, don Gianni Anelli e padre Ernesto dei Sacramentini , memtre hanno assistito al sacro rito i diaconi permanenti Walter Gandolfi e Manuel Imbrescia. La celebrazione è stata animata dalla Consulta Laicale: la Pentecoste è sempre un’occasione speciale per ringraziare Dio per i vari carismi che lo Spirito Santo suscita nella Chiesa. Riportiamo di seguito il testo dell’omelia del Vescovo Carlo:
«Vegliare è stare vigili e attenti, in ascolto. Chiediamoci di chi? Fondamentale è chi ascoltiamo nella nostra vita, chi interroghiamo sulle questioni più importanti che dobbiamo affrontare e che la vita stessa ci presenta. Molte sono le voci che riempiono l’aria, non tutte sono sagge, non tutte sono costruttive.
Questa sera siamo vigili, in attesa e in ascolto di ciò che lo Spirito di Cristo vuole dirci e donarci. Durante l’anno pastorale, che come sappiamo è stato fortemente influenzato dalla pandemia che purtroppo non ci ha ancora completamente lasciato, ci siamo impegnati a metterci in ascolto di ciò che lo Spirito va dicendo alla nostra Chiesa. Il tema che ha scandito le nostre meditazioni e la nostra preghiera è stata la parola del risorto alle sette chiese dell’Apocalisse: “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2, 7).
Chiediamoci: Ci siamo fermati ad ascoltare? Abbiamo avuto orecchi per le cose dello Spirito o solo per i nostri immediati interessi? Abbiamo interrogato lo Spirito o ci siamo fermati alle lamentele per ciò che ci è stato tolto, per ciò che non abbiamo potuto fare e abbiamo ascoltato solo i nostri desideri insoddisfatti? Che cosa ci ha detto lo Spirito anche e soprattutto attraverso il dramma della pandemia? Non ci ha forse interrogato su ciò che è essenziale per noi, per il nostro rapporto con Dio? Abbiamo cercato di seguire i consigli di bene e di fraternità che certamente ha suggerito alla nostra mente, ma soprattutto al nostro cuore? L’essenziale non è forse che impariamo ad amarci un po’ di più, lasciandoci amare da Dio innanzitutto?
Sono certo che tutti abbiamo cercato di fare il nostro meglio, constatando la nostra pochezza, la nostra fragilità e il grande bisogno che abbiamo non solo dei suoi consigli, ma anche della sua forza, del suo coraggio, soprattutto del suo amore. Abbiamo toccato con mano la nostra fragilità e la privazione di alcuni punti consueti di riferimento. Anche la nostra vita di comunità di fede ne ha risentito non poco, impoverendoci nella possibilità di incontri e di condivisione di momenti di vita, non sufficientemente compensati da incontri ‘a distanza’ attraverso i mezzi offerti da internet. Come Chiesa non ci bastano incontri virtuali per essere comunità che celebra gioiosamente la presenza del suo Signore risorto. Abbiamo bisogno di incontrarci come stiamo facendo questa sera e abbiamo anche bisogno di fare festa insieme.
Forse è proprio questa una delle verità importanti che lo Spirito ci va dicendo, facendocene esperimentare la mancanza: intendo la necessità di celebrare insieme e di condividere la vita di fede per essere piena comunità del Signore. La pandemia ci ha riportato all’essenziale e ci ha fatto toccare con mano che con l’individualismo non andiamo da nessuna parte, che tutto il mondo è sulla stessa barca e che da soli non ci difendiamo dai pericoli, non solo da quelli della pandemia. Ci ha detto che la nostra forza è la comunità, che non c’è Chiesa senza essere comunità, con le nostre povertà, ma comunità. Abbiamo compreso che l’individualismo religioso, di singoli o di gruppi, è solo l’illusione di chi orgogliosamente si chiude su se stesso ed è incapace di affrontare la fatica di amare, che è poi la fatica di Dio di amare noi? L’opera dello Spirito non è la separazione, ma l’unione delle diversità.
Invochiamo questa sera lo Spirito che ci faccia comprendere e vivere sempre di più questa grande e bella realtà del nostro essere Chiesa, suo corpo vivente nel tempo. Questa realtà noi la esprimiamo e la viviamo questa sera attraverso il nostro convenire qui insieme in preghiera nella chiesa madre di tutta la Diocesi, la nostra cattedrale, in attesa gioiosa dello Spirito che anima quel corpo di Cristo che è appunto la Chiesa.
Io, nella pandemia che ci ha colpito, ho percepito un invito pressante alla purificazione della nostra fede, della nostra carità e del nostro modo di essere Chiesa. La fragilità che abbiamo sperimentato, questo senso di impotenza e di essere indifesi ci ha portato in maggior contatto con la nostra umanità mortale, spogliata da quel senso di onnipotenza un po’ infantile che lo spirito del tempo tenta di farci assimilare, ma ci ha anche stimolato a recuperare una fede semplice, di maggior abbandono in Dio, spoglio da forme vagamente magiche o superstiziose, una fede più centrata sull’essenziale, sull’essere comunità, su ciò che Dio fa per noi, piuttosto che su quello che noi facciamo per lui. Abbiamo sperimentato che Dio non ci protegge magicamente dai mali del mondo, ci aiuta invece con il suo amore ad affrontarli. Insieme con lui, e uniti tra di noi, possiamo essere forti nelle difficoltà e perseveranti nell’unione fraterna.
Con la privazione della possibilità di celebrare la fede con i riti della celebrazione eucaristica e degli altri sacramenti, lo Spirito ci ha interrogato sul nostro modo di celebrare, sul senso cristiano di tali celebrazioni e sulla fede-carità che dovrebbero esserne l’anima. L’anima del rito è la carità di Cristo effusa nei nostri cuori mediante lo Spirito (cfr. Rom 5, 5). Senza di essa, per quanti riti celebriamo, preti o laici siamo solo bronzi che risuonano o cembali che tintinnano (cfr 1Cor 13, 1). Senza la carità i riti sono come dei bei piatti vuoti, senza alcun alimento in grado di nutrire la vita di fede.
La purificazione di cui la nostra Chiesa ha bisogno riguarda anche la debolezza del senso di essere comunità amata da Dio, debolezza che porta a vivere la fede e i sacramenti, che dovrebbero iniziare alla vita cristiana, solo come partecipazione a riti celebrativi di passaggi socio-evolutivi e non come momento fondamentale (che fa da fondamento) di comunione con Dio in Gesù e nello stesso tempo di costruzione della comunità dei figli di Dio, che, riconoscendosi tali, pur nella diversità si impegnano a vivere la vera fraternità. Finché non capiremo che Gesù ci dona i sacramenti per farci Chiesa, cioè membra che vivono nel suo corpo che è appunto la Chiesa, le chiese saranno sempre più vuote e anche l’iniziazione cristiana soffrirà sempre di una grande sterilità di risultati. Abbiamo capito che è questo che lo Spirito sta dicendo alla Chiesa?
Noi questa sera, Movimenti e Associazioni insieme a tutta la comunità cristiana, invochiamo lo Spirito della comunione che nella carità ci fa Chiesa, quello stesso Spirito che opera l’unità nella Trinità rendendola una comunione di amore e di operazione, salvandone la diversità delle persone. A poco serve il molto fare e anche il molto predicare, se manca questo forte senso di essere Chiesa, se manca una profonda spiritualità fatta non solo di sentimenti o di tradizionali pie pratiche devozionali, se tutto ciò non apre ai vasti orizzonti della carità di Dio per noi e la nostra per gli altri. “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”.
La lettura del profeta che è stata proclamata ci ha parlato delle ossa aride che vengono rivitalizzate dallo Spirito: il profeta si riferisce non a singoli, ma a un popolo, quello di Israele, popolo sfiduciato che ha bisogno di essere rianimato dopo la tragedia dell’esilio. Un po’ questo popolo siamo noi. Abbiamo bisogno di essere rianimati riscoprendo nella nostra carne il dono dell’amore di Dio, e non solo per le conseguenza della pandemia. Abbiamo bisogno di prendere coraggio da questo amore esercitando la virtù della prudenza (la virtù della prudenza non è mai priva del coraggio dei martiri!) che porta a spendersi per ciò che veramente vale e merita. Colui che ha la virtù della prudenza sa osare e osare anche molto mettendo in gioco anche la propria vita, come hanno fatto i santi e i martiri.
C’è una sola cosa di cui ha bisogno la Chiesa e il mondo, oggi come ieri: la santità di preti e di laici. Essa è frutto del lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio che è amore, come ha fatto Giuseppe, lo sposo di Maria e come ha fatto Maria stessa. Solo lo Spirito ci guida a tutta la verità (cfr. Gv 16, 13) e la verità, non sono le idee, ma Gesù stesso che è via, verità e vita (Gv 14, 6). La verità è che Dio ci ama e ci dona il suo amore attraverso lo Spirito che cambia i nostri cuori, toglie da essi le pietre che lo appesantiscono e lo rendono un cuore ischemico, non capace di pulsare a sufficienza sangue di vita nelle vene. Sentiamo questa sera presente in mezzo a noi Maria, come lo fu nel Cenacolo con la Chiesa primitiva. Lei con noi e per noi preghi il Figlio Gesù affinché mandi l’abbondanza del suo Spirito su questa nostra amata Chiesa truentina».