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Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina

M. Chiara Biagioni

Si celebra oggi, 24 maggio, la Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina. Fu Benedetto XVI ad istituirla nel giorno in cui i fedeli cattolici cinesi celebrano “la festa della Beata Vergine Maria”, Patrona del Paese. Una festa particolarmente sentita in Cina che vede ogni anno migliaia di fedeli recarsi in pellegrinaggio al santuario di Sheshan, a Shanghai, chiuso quest’anno per tutto il mese di maggio a causa della pandemia. “Vi invito ad accompagnare con la preghiera i fedeli cristiani in Cina, nostri carissimi e fratelli e sorelle che tengo nel profondo del mio cuore”, ha detto ieri il Papa al termine della recita del Regina Coeli. Anche il cardinale di Yangon (Myanmar) Charles Bo, a nome della Chiesa di tutta l’Asia, in qualità di Presidente della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche, ha invitato a pregare per i cattolici cinesi estendendo quest’anno la Giornata ad una “Settimana di preghiera”, da domenica 23 maggio a domenica 30 maggio. “Nel proporre questa Settimana – scrive il cardinale – esprimo il mio amore per i popoli della Cina, il mio rispetto per la loro antica civiltà e la straordinaria crescita economica, e la mia speranza che mentre il Paese continua a crescere come potenza globale, possa diventare anche una forza di bene e promotore dei diritti dei più vulnerabili ed emarginati del mondo”.

Per la celebrazione della Settimana, è stato lanciato nei giorni scorsi un sito – GlobalPrayerforChina.org – dove è possibile trovare non solo materiali per preghiere e omelie ma anche informazioni aggiornate sulle persecuzioni dei cristiani in Cina, sul genocidio degli uiguri, la repressione in Tibet, lo smantellamento della democrazia diritti umani a Hong Kong nonché profili di singoli prigionieri di coscienza tra cui spiccano i nomi di alcuni vescovi, il nome di Gao Zhisheng, uno dei più famosi avvocati cinesi per i diritti umani e Jimmy Lai, il magnate dei media arrestato a Hong Kong perché grande sostenitore dei movimenti pro democrazia.

E’ invece di qualche giorno fa la notizia dell’arresto del vescovo cattolico mons. Zhang Weizhu, sette sacerdoti e dieci seminaristi, tutti della prefettura apostolica di Xinxiang, non riconosciuta dalle autorità cinesi. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa Asianews, il 20 maggio scorso, almeno 100 poliziotti hanno circondato un edificio usato come seminario diocesano a Shaheqiao e hanno arrestato sacerdoti, insegnanti e i seminaristi che seguivano le lezioni. Il giorno dopo, anche il vescovo Weizhu è stato arrestato. Raggiunti telefonicamente dal Sir, fonti cattoliche missionarie di Hong Kong, confermano la notizia e aggiungono che il controllo sulle attività religiose è più serrato in zone come la provincia di Hebei dove c’è una grande maggioranza cattolica.

Proprio per affrontare la questione, il 22 ottobre scorso la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese avevano prorogato ufficialmente per altri due anni l’Accordo provvisorio sulle nomine dei vescovi in Cina entrato in vigore il 22 ottobre di due anni fa con l’intenzione di proseguire un dialogo aperto e costruttivo, favorire la vita della Chiesa cattolica e il bene del Popolo cinese, contando sulla “buona comunicazione e collaborazione tra le parti”. Il problema è che l’approccio all’Accordo rimane diverso, spiegano le fonti al Sir. Il Vaticano ha sempre ribadito il suo valore religioso per cui obiettivo dell’accordo è mettere in comunione con il Papa e riconciliare tra loro tutti i cattolici in Cina così da superare il nodo storico della divisione tra Chiesa ufficiale e clandestina.  “A livello locale, però – fanno notare da Hong Kong -, le autorità continuano a considerare l’Agreement solo dal punto di vista politico e non cessano di controllare la chiesa cattolica, le altre chiese cristiane”.Non è un caso che nel suo saluto domenica alla Chiesa in Cina, Papa Francesco abbia evocato l’unità: “Quanto è buono e quanto è necessario che i membri di una famiglia e di una comunità cristiana siano sempre più uniti nell’amore e nella fede!”. Queste parole – dicono ad Hong Kong – “sono espressione dell’amore per il popolo cinese da parte del Papa. Ma i cattolici qui hanno bisogno di fatti concreti che manifestino veramente la preoccupazione che la Chiesa ha per la loro situazione, a partire dalla condivisione reale della loro sofferenza. Se non si prende una posizione chiara e ferma sui principi chiave della giustizia, libertà di religione e rispetto dei diritti umani, soprattutto nei casi di evidente ingiustizia e oppressione, il rischio è che i cattolici cinesi si sentono abbandonati”.

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