DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
«A che cosa potremmo paragonare il Regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?», chiede Gesù alla folla che lo sta ascoltando.
Ma, ci chiediamo noi, si può raccogliere, costringere il Regno di Dio in un’immagine? La realtà del Regno è misteriosa, ci sfugge, non si riesce ad etichettarla facilmente, è una realtà che, allo stesso tempo, racchiude tutto e trascende tutto. E’ già presente, ci ripete più volte Gesù nei Vangeli, ma chi lo ha mai visto o toccato con mano?
Sicuramente potrebbero venirci in mente immagini che hanno a che fare con la grandezza, con qualcosa di glorioso, maestoso…ma, fortunatamente, ci viene incontro Gesù stesso e ci aiuta con un’immagine molto precisa: «E’ come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Che immagine questa che Gesù ci propone!! Da un inizio minuscolo (la grandezza di un seme di senape è un millimetro, un millimetro e mezzo) viene messo in atto un processo prodigioso di crescita, che sfocia in un arbusto imponente. Tutto ciò ad una condizione: che il seme venga gettato a terra, seminato, dunque marcisca, muoia, per trasformarsi in altro, per dare vita ad una pianta.
Attenzione, però! Leggiamo così nel Vangelo: che «dorma o vegli [l’agricoltore], di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce». Ecco come lavora la grazia di Dio e come avanza il Regno di Dio, invisibilmente e silenziosamente. E non serve che l’agricoltore vada ogni giorno nel campo a dissotterrare il seme per controllarne la crescita o tiri ogni giorno le foglioline della pianta appena sbocciata per aiutarla a crescere. Rovinerebbe tutto. Il campo fa il suo lavoro, porta a compimento la vita che il seme ha dentro sé stesso. È questione, allora, per noi, di crescere nella fiducia che la vittoria, il compimento, il frutto non spettano a noi, ma alla potenza che è dentro ogni atto di bene che possiamo compiere, nella esperienza di vita che possiamo trasmettere. L’unica cosa chiesta all’uomo, cioè, è porre in essere l’atto di bene e poi attendere. Il risultato è certo.
E il risultato sarà quello di una pianta con «rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». E’ l’immagine del Regno di Dio che abbraccia tutti i popoli della terra, è l’immagine di quell’amore infinito di Dio per l’uomo che offre riparo e vita a tutti e a ciascuno.
Un piccolo seme che, morendo, scomparendo, dona vita. Questo siamo chiamati ad essere.
Perché non è l’albero che dà la forza al seme, ma è il seme che con la sua forza si sviluppa in albero! La Parola di questa domenica ci aiuti, davvero, a non lasciarci travolgere dalla fatica, dall’affanno, dalle contraddizioni, dallo scoraggiamento, a non viaggiare nella logica di obiettivi, risultati pastorali da raggiungere, di strategie sempre nuove ma, spesso, poco naturali, da mettere in atto, ci aiuti a non cadere nell’errore di voler continuamente dissotterrare il seme per controllarne lo stato di salute, ci aiuti a non cedere alla tentazione di voler tirare il piccolo stelo appena nato per farlo crescere prima del tempo…ci aiuti, invece, questa Parola, a vivere nella certezza che, a noi, sta gettare il seme, continuamente e senza sosta, minuscolo o grande che sia: farà lui il suo cammino per portare frutto a suo tempo, non il nostro ma il tempo di Dio.
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