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Direttore Pompei: Con il cellulare sempre in mano viviamo in un cameratismo spersonalizzante

Di Pietro Pompei

Nel nostro quotidiano sono entrati degli oggetti di cui non si può più fare a meno. Hanno avuto la capacità di incidere sui nostri comportamenti e di modellarci, in certo modo, secondo le loro funzioni. I tanti servizi di cui possiamo usufruire, certamente, stanno condizionando oltre il fisico anche il nostro pensiero. Tutto questo lo si può chiamare anche civiltà, progresso, almeno fintantoché non viene a limitare la nostra libertà. Prendiamo il telefonino, di per sé è un grande risultato della tecnologia, ma così come lo si usa ci sta letteralmente ingabbiando. Tant’è vero che se desideri startene un po’ in pace, la prima cosa che fai, chiudi il telefonino. Uno strumento ottimo per certi lavori, in certe situazioni di emergenza, in una comunicazione rassicurante per un viaggio compiuto e per tanti altri motivi, si fa ossessione in mano alle persone ansiose e a quella fascia di età che non ama pensare e riflettere e che sciupa la propria vita in un cameratismo spersonalizzante. Quanta gente si incontra che cammina parlando. A primo acchito pensi a qualche rotella fuori posto, perché non sempre scopri il telefonino incollato all’orecchio, anche perché adesso hanno inventato delle diavolerie per cui puoi telefonare camminando con le mani in tasca. Un fiume di parole ci affoga durante il giorno, e il più delle volte sta a denotare la paura di restare soli con se stessi. Mi perdoni il lettore se i ricordi la fanno da padrone. Tutte le volte che incontro questi pedoni parlanti, mi torna in mente un simpatico vecchietto che era solito mettersi sotto la tettoia del demolito mercato della frutta e con in mano una pipa a mo’ di telefonino, faceva lunghe telefonate in varie parti del mondo.

Quelli che negli anni sessanta erano in grado di passare in quel luogo, saranno stati richiamati da un parlare concitato in cui spesso venivano privilegiati i Presidenti degli Stati Uniti, con linea diretta dalla Casa Bianca. L’ho sempre pensato come l’ideatore del telefonino, peccato che questa originalità venisse commiserata con epiteti non proprio benevoli.
Pazzo pazzo mondo. Siamo arrivati al punto che il telefonino sta mettendo in crisi l’economia delle famiglie, sotto l’ossessivo incitamento della pubblicità. Si consumano in denaro tante sciocchezze con messaggini che piovono da tutte le parti e con un linguaggio smozzicato che ci riporta al tempo dei cavernicoli. Tutto è lasciato alla capacità enigmistica di chi riceve, in un gioco perverso che si può trasformare in vizio. Non ci si lamenti poi se questi giovani sono perennemente distratti, se non possono stare un momento soli, se vivono una perenne vita goliardica. Che vuoto c’è in giro! Non dal punto nozionistico, che tra i giornali, la televisione, gli strumenti didattici, questi giovani sono più informati degli adulti. Con il computer poi ed internet risolvono tutti problemi. Il vuoto è formativo. Se poi, oltre al pensare e riflettere, scendiamo sul piano religioso, allora anche le nozioni vengono meno. Le tappe dei sacramenti sono come le scelte scolastiche, ma, a differenza di queste, non impegnano più di tanto.
Un mio amico, l’altro giorno, era scandalizzato nel vedere un gruppo di giovanissimi portarsi a ricevere l’Eucarestia dopo una S. Messa trascorsa a ridere, scherzare e darsi pizzicotti. Cosa sanno e cosa vivono del sacrificio della Croce?

Il calendario liturgico scorre via senza sedimentare; le discoteche, anche in questo periodo pandemico continuano ad essere desiderate spasmodicamente anche da buoni giovani cattolici: un momento di pausa, un atto di rinuncia, un momento di riflessione! Si ha l’impressione che, nonostante tutti i Sacramenti ricevuti, l’unico digiuno sia quello del sapere religioso. E le famiglie che fanno ? Il telefonino è un tranquillizzante, se rispondono significa che tutto va bene; dove poi questi figli sono, in compagnia di chi, che cosa fanno, questo è un altro discorso.

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