Sono le parole “piene di speranza” del poeta Gibran con cui il Papa ha concluso il suo discorso a conclusione della preghiera ecumenica nella basilica di San Pietro, ultimo atto della Giornata per il Libano. “Alcuni giovani ci hanno appena consegnato delle lampade accese”, il riferimento a ciò che è accaduto poco prima nella celebrazione: “Proprio loro, i giovani, sono lampade che ardono in quest’ora buia. Sui loro volti brilla la speranza dell’avvenire. Ricevano ascolto e attenzione, perché da loro passa la rinascita del Paese. E tutti noi, prima di intraprendere decisioni importanti, guardiamo alle speranze e ai sogni dei giovani. E guardiamo ai bambini: i loro occhi luminosi, ma rigati da troppe lacrime, scuotano le coscienze e indirizzino le scelte”. “Altre luci risplendono sull’orizzonte del Libano: sono le donne”, l’omaggio del Papa: “Viene alla mente la Madre di tutti, che, dalla collina di Harissa, abbraccia con lo sguardo quanti dal Mediterraneo raggiungono il Paese. Le sue mani aperte sono rivolte verso il mare e verso la capitale Beirut, ad accogliere le speranze di tutti. Le donne sono generatrici di vita e di speranza per tutti; siano rispettate, valorizzate e coinvolte nei processi decisionali del Libano”. “Per giungere all’alba non c’è altra via se non la notte”, l’altra parafrasi di Gibran: “E nella notte della crisi occorre restare uniti. Insieme, attraverso l’onestà del dialogo e la sincerità delle intenzioni, si può portare luce nelle zone buie”. “Si dilegui la notte dei conflitti e risorga un’alba di speranza”, l’auspicio finale di Francesco: “Cessino le animosità, tramontino i dissidi, e il Libano torni a irradiare la luce della pace”.