di Paolo Zucca
È l’inflazione più dolorosa perché colpisce le povertà, mette in dubbio il diritto all’alimentazione di base. Può, e la storia passata e recente lo dimostra, mettere in moto sanguinose rivolte. Spaventa i Governi, ne nascono repressioni. L’aumento oltre ogni misura delle materie prime alimentari è peggiore delle crisi provocate dal caro-petrolio, dai disastri metereologici o dai blocchi dei commerci.
Il Food index price, calcolato dalla Fao (Food agriculture organization) ci ha detto in questi giorni che le materie prime alimentari sono aumentate, in un anno, del 35% toccando livelli che non si vedevano dal 2011 e prima ancora dal 2007. Alla fine del 2010, l’aumento dei prezzi degli alimentari fu concausa della “primavera araba”; anche in questi mesi Paesi diversi sono alle prese con rincari che generano malcontento.
Se il mondo industrializzato sta valutando quanta inflazione potrà nascere dalla ripresa post pandemica, in vaste aree del mondo si guarda al prezzo dei cereali (riso a parte), dello zucchero, degli oli vegetali, della carne e tanto altro. Alcuni Governi penalizzano il loro export per trattenere in patria produzioni necessarie a garantire la sicurezza alimentare. I Paesi più a rischio sono quelli dipendenti da prodotti alimentari esteri, le loro valute perdono valore e riescono a comprare sempre meno materie prime.
Cosa sta succedendo? La Cina compra tutto, mangia tutto, cerca cibo per le persone e per gli animali. India e Brasile stanno ricostituendo le scorte. La congiuntura è complicata dai costi di trasporto delle merci lievitati per l’aumento della domanda di container e di navigazione. Pesano blocchi vari (ad esempio i rallentamenti nel canale di Suez per un incidente) mentre sanzioni e dazi isolano alcuni regimi e purtroppo anche le loro popolazioni.
L’inflazione di matrice alimentare non potrà non farsi sentire anche nel ricco Occidente che sta discutendo di quanta inflazione arriverà con la ripresa economica. Se la pandemia finirà veramente e il denaro pubblico favorirà gli investimenti, è prevedibile un’espansione dei prezzi in tutta la catena produttiva. I margini erano rimasti compressi in questo anno e mezzo. L’inflazione, come è noto, erode il potere di acquisto di chi ha entrate fisse, riduce l’onere per chi è indebitato e riesce ad avere entrate maggiori, ha riflessi sui tassi di interesse che tendono a rialzarsi aumentando il costo dei nuovi mutui o la rate di chi ha scelto il variabile. Di ritorno dell’inflazione si parla tanto e la Bce (Banca centrale europea), come le altre banche centrali, ritiene di poter guidare i movimenti. In Europa potrebbe arrivare anche al 2,6% entro l’anno per poi ridiscendere all’1,4% nel 2022. Nel’Eurozona a fine giugno era +1,9% e quella italiana fra le più lente. Europa e Stati Uniti cercheranno di calibrare le loro politiche economiche per non creare strappi. La Cina ha però dinamiche tutte sue che impattano sulle materie prime.