da Vatican News – Alessandro Di Bussolo
Gesù è disprezzato come profeta nella sua Nazaret perché i suoi compaesani “non accettano lo scandalo dell’Incarnazione”, che il Figlio di Dio “sia il figlio del falegname”, che in Lui il Signore “si fa vicino a noi, abitando la normalità della nostra vita quotidiana” e non è “astratto e distante” o “un dio dagli effetti speciali”. Papa Francesco spiega così, nella catechesi che precede la preghiera dell’Angelus di questa XIV domenica del tempo ordinario, l’incredulità degli abitanti di Nazaret descritto nel Vangelo di Marco, proposto dalla liturgia di oggi. Gesù, dopo aver predicato in altri villaggi della Galilea, ricorda il Papa, ripassa nel paese dove era cresciuto con Maria e Giuseppe e, un sabato, si mette a insegnare nella sinagoga. (Ascolta il servizio con la voce del Papa). Molti compaesani, ascoltandolo, si domandano: “Da dove gli viene tutta questa sapienza? Non è il figlio del falegname e di Maria, cioè dei nostri vicini di casa che conosciamo bene?”. E davanti a questa reazione, prosegue Francesco “Gesù afferma una verità che è entrata a far parte anche della sapienza popolare: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» “.
Secondo il Pontefice, gli abitanti di Nazaret “conoscono Gesù, ma non lo riconoscono”, perché “possiamo conoscere varie cose di una persona, farci un’idea, affidarci a quello che ne dicono gli altri, magari ogni tanto incontrarla nel quartiere, ma tutto ciò non basta”. E’, per Papa Francesco, “un conoscere superficiale, che non riconosce l’unicità di quella persona”. È un rischio che corriamo tutti: pensiamo di sapere tanto di una persona, e il peggio è che la etichettiamo e la rinchiudiamo nei nostri pregiudizi. Allo stesso modo, i compaesani di Gesù lo conoscono da trent’anni e pensano di sapere tutto di Lui, ma “non si sono mai accorti di chi è veramente Gesù. Si fermano all’esteriorità e rifiutano la novità di Gesù”. Quando facciamo prevalere la comodità dell’abitudine e la dittatura dei pregiudizi, è difficile aprirsi alla novità e lasciarsi stupire. Noi controlliamo, con l’abitudine, con i pregiudizi. Finisce che spesso dalla vita, dalle esperienze e perfino dalle persone cerchiamo solo conferme alle nostre idee e ai nostri schemi, per non dover mai fare la fatica di cambiare.
Può succedere anche a noi credenti con Dio, commenta il Papa, “a noi che pensiamo di conoscere Gesù, di sapere già tanto di Lui e che ci basti ripetere le cose di sempre”. Ma questo non basta con Dio. “Senza apertura alla novità e alle sorprese di Dio, senza stupore, la fede diventa una litania stanca che lentamente si spegne e diventa un’abitudine, un’abitudine sociale”. Cosa è, lo stupore? Lo stupore è proprio quando succede l’incontro con Dio: “Ho incontrato il Signore”. Ma leggiamo il Vangelo: tante volte, la gente che incontra Gesù e lo riconosce, sente lo stupore. E noi, con l’incontro con Dio, dobbiamo andare su questa via: sentire lo stupore. E’ come il certificato di garanzia che quell’incontro è vero, non è abitudinario.
Quindi, spiega Francesco, i compaesani di Gesù “non lo riconoscono e non credono in Lui perché “non accettano lo scandalo dell’Incarnazione”. Infatti per loro “è scandaloso che l’immensità di Dio si riveli nella piccolezza della nostra carne, che il Figlio di Dio sia il figlio del falegname, che la divinità si nasconda nell’umanità, che Dio abiti nel volto, nelle parole, nei gesti di un semplice uomo”. Ecco lo scandalo: l’incarnazione di Dio, la sua concretezza, la sua “quotidianità”. E Dio si è fatto concreto in un uomo, Gesù di Nazaret, si è fatto compagno di strada, si è fatto uno di noi. “Tu sei uno di noi”, dire a Gesù: bella preghiera! E’ perché uno di noi ci capisce, ci accompagna, ci perdona, ci ama tanto.
In realtà, prosegue il Pontefice, “è più comodo un dio astratto, distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società. Oppure ci piace credere a un dio ‘dagli effetti speciali’, che fa solo cose eccezionali e dà sempre grandi emozioni”. “Invece, cari fratelli e sorelle, Dio si è incarnato: Dio è umile, Dio è tenero, Dio è nascosto, si fa vicino a noi abitando la normalità della nostra vita quotidiana.”
Anche noi, conclude il Pontefice, come i compaesani di Gesù, “rischiamo che, quando passa, non lo riconosciamo”. Torno a dire quella bella frase di Sant’Agostino: “Ho paura di Dio, del Signore, quando passa”. Ma, Agostino, perché hai paura? “Ho paura di non riconoscerlo. Ho paura del Signore quando passa. Timeo Dominum transeuntem”.
Non lo riconosciamo e ci scandalizziamo di Lui”. E invita a chiedere alla Madonna, “che ha accolto il mistero di Dio nella quotidianità di Nazaret, di avere occhi e cuore liberi dai pregiudizi e aperti allo stupore”, perché “quando incontriamo il Signore c’è questo stupore”. Ma “lo incontriamo nella normalità, occhi aperti alle sorprese di Dio, alla Sua presenza umile e nascosta nella vita di ogni giorno”.
Dopo la preghiera mariana dell’Angelus, Papa Francesco, lancia un appello, preoccupato per la situazione in Africa meridionale, e per le tensioni e violenze in eSwatini, l’ex Swaziland, dove da diverse settimane sono in corso manifestazioni di protesta contro il Re Mswati III, ultimo monarca assoluto del continente africano, che governa il Paese da 35 anni. Invito coloro che detengono responsabilità e di quanti manifestano le proprie aspirazioni per il futuro del Paese ad uno sforzo comune per il dialogo, la riconciliazione e la composizione pacifica delle diverse posizioni.
Infine il Papa saluta con affetto i romani, e i pellegrini dall’Italia, in particolare i gruppi di fedeli di Cosenza, Crotone, Morano Calabro e Ostuni.