Michele “è sempre stato cittadino del mondo, ha vissuto in Messico per più di 10 anni e aveva una grande rete di amici, grande quanto il suo cuore. Artigiano, viaggiatore, pastore di capre, contadino, sellaio, meccanico di biciclette e tutto ciò che gli veniva in mente di imparare, Michele in gioventù ha studiato e lavorato come radiologo in un ospedale e il suo cuore e le sue conoscenze lo hanno avvicinato al nostro centro di salute Yìbel Ik’ ‘Raíz del Vientò, oltre a tanti altri progetti sociali, convinto com’era che dobbiamo donare, dobbiamo aiutare, dobbiamo unirci come popolo di fratelli, senza distinzione di lingue, confini e colore della pelle”.
Michele Colosio, prosegue la nota del centro d’accoglienza, è morto “in seguito a un’aggressione, una delle tante che si verificano quotidianamente nella ‘città magica’ di San Cristóbal, città già in balia di tanti gruppi armati (criminalità comune, criminalità organizzata, narcotrafficanti, paramilitari, sicari in uniforme…) che agiscono grazie all’occhio cieco di tutti i Governi e alla corruzione di tutte le forze di polizia. Il marciume istituzionale, la povertà diffusa e l’impunità hanno trasformato questa bellissima città in un inferno, come e più delle migliaia esistenti in questo Paese ferito. Lo denunciamo e resistiamo da anni, non ci fermeremo”.
Proprio la scorsa settimana la diocesi di San Cristóbal, in una dura nota che aveva fatto seguito all’uccisione del catechista e attivista indigeno Simón Pedro Pérez López, denunciava, rispetto al Chiapas, “la riattivazione delle forze che sono mutate da paramilitari a criminalità organizzata, alleate al narco-governo, che hanno invaso il nostro Stato per domare la resistenza dei popoli organizzati che difendono la loro autonomia”.