Un anno è trascorso da quel 15 luglio 2020. E sono davvero pochi, dovuti essenzialmente alla caparbietà di fonti indipendenti, di coraggiosi giornalisti e attivisti, di qualche politico d’opposizione, i passi in avanti sulla morte (probabilmente sull’uccisione) di Mario Paciolla, il cooperante di 33 anni, originario di Napoli, che lavorava per le Nazioni unite, nell’ambito del Programma per lo sviluppo, per l’implementazione del processo di pace in una delle aree storicamente più calde del Paese, San Vicente del Caguán, nel dipartimento sud-orientale del Caquetá.Un anno dopo, dunque, pur senza certezze, molti elementi fanno sempre più pensare che la sua morte sia stata voluta, come tante in questo Paese insanguinato, dai “signori della guerra”.Con l’aggravante, però, di non essere stato adeguatamente “protetto” dai “signori della pace”, o presunti tali.
Una “luce di speranza”. Ma mentre il mistero resta fitto, se non altro c’è chi auspica che il suo, apprezzato, lavoro per la pace non sia stato vano.Per la prima volta la Conferenza episcopale colombiana, attraverso il direttore del segretariato di Pastorale sociale e Caritas, mons. Héctor Henao, contattato dal Sir, prende posizione sulla vicenda, pur senza entrare sui temi delle inchieste in atto.“Anzitutto – afferma mons. Henao -, apprezziamo sinceramente la presenza di volontari e organizzazioni internazionali che supportano l’attuazione dell’accordo di pace firmato tra il governo nazionale e le Farc. Il processo richiede il sostegno della comunità internazionale, soprattutto nelle aree dove questa guerriglia era presente da decenni.San Vicente del Caguán è uno di quei luoghi dove la presenza di volontari come Mario Paciolla è una luce di speranza.Lì, le comunità sperimentano le complessità di un processo di pace che presenta sempre sfide e una di queste è il ritorno e l’intensificarsi della violenza”. Mario, prosegue il direttore della Pastorale sociale colombiana, “è morto mentre forniva un prezioso servizio a comunità altamente vulnerabili. Ora è il momento di riconoscere il lavoro e il contributo di tanti volontari che vengono da luoghi lontani, come Napoli, in Italia, con la convinzione che il loro contributo aiuterà nel lungo cammino a consolidare una società pacifica e fraterna”.
E, nonostante una nostra fonte anonima faccia cenno agli “amici” di Mario, ora “inginocchiati e ipocriti, oppure impauriti”, l’azione del cooperante trova invece gratitudine nella popolazione locale, come ci spiega da San Vicente del Caguán Mercedes Mejia, coraggiosa attivista ambientale e docente all’Università dell’Amazzonia: “Nell’anniversario abbiamo organizzato una commemorazione di Mario, nei mesi scorsi gli abbiamo dedicato un convegno.Se avessi la possibilità di parlare con i suoi familiari, direi loro che la Colombia non ha dimenticato l’azione di Paciolla per la pace.È passata l’idea che qui tutti siano indolenti e insensibili, ma non è così”.
Stranezze e interrogativi.
Restano intatte le tante domande sulla morte di Mario Paciolla.
Fin da subito, sono iniziate le “stranezze”: l’appartamento dove viveva è stato subito pulito; la missione Onu se n’è improvvisamente andata da San Vicente; la morte di Paciolla è stata fatta frettolosamente passare per suicidio. Gran parte delle incongruenze è stata messa in fila dalla giornalista d’inchiesta free lance Claudia Julieta Duque, che ha pubblicato vari reportage sul quotidiano “El Espectador”, e si è mossa con determinazione in un mare di silenzio e omertà.Paciolla, del resto, temeva per la sua vita, aveva acquistato un volo di sola andata per l’Italia. Ma un anno dopo, le Istituzioni ufficiali non danno alcuna risposta.Da San Vicente del Caguán, il “Defensor del pueblo” del Caquetá, Gerney Calderón, interpellato dal Sir, ammette di non essere al corrente di informazioni”, di aver letto solo le notizie sulla stampa.
All’inizio fu il “bombardeo”.Ma chi aveva interesse a togliere la vita a Paciolla?E perché, da parte dell’Onu, c’è stata una gestione della vicenda che possiamo definire quanto meno “opaca”?
Una prima ipotesi porta al “bombardeo”, cioè al bombardamento del novembre 2019 contro la dissidenza Farc da parte dell’esercito, proprio nella zona di San Vicente.Sotto le bombe erano finiti (consapevolmente, si è saputo poi) anche alcuni minori (sicuramente otto, ma si è arrivati a ipotizzarne 36). Una pagina bruttissima (subito denunciata dal Sir) che aveva portato alle dimissioni dell’allora ministro della Difesa Botero, in seguito alla denuncia, davvero molto circostanziata, del senatore Roy Barreras, vicino all’ex presidente Santos. Contattato telefonicamente dal Sir, Barreras, che nei mesi scorsi è stato anche in Italia, è ancora convinto, oggi, che da lì si debba partire: “Un anno dopo la morte di Mario Paciolla resta un mistero, ma tanti dubbi persistono – ci spiega -. Dal Governo ancora non arrivano spiegazioni, ma io sono convinto che la vicenda Paciolla sia legata al ‘bombardeo’ e, in modo più ampio alla storia militare colombiana”. Il senatore, che su questo si è espresso pubblicamente in un dibattito in Senato,si riferisce a un rapporto dell’intelligence in cui un cittadino italiano, che lavorava come operatore umanitario delle Nazioni Unite, veniva “accusato” di aver fatto trapelare informazioni sul bombardamento.“Riferimenti che corrispondono al cooperante italiano”, dice Barreras che aggiunge: “Cosa succede nell’esercito colombiano? Quali connessioni con altri gruppi? Ci sono tanti interrogativi, come si vede in questi giorni con il caso dei militari in pensione che facevano parte del commando che ha ucciso il presidente di Haiti”. Il senatore dice invece di non avere notizie su eventuali “infiltrazioni nella missione delle Nazioni Unite”.
Certo, su questi temi, sarebbe importante il contributo di osservatori internazionali indipendenti. “Ma il presidente Duque – afferma Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in Colombia – rifiuta gli osservatori internazionali e respinge le raccomandazioni della Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh). In particolare rifiuta la Missione speciale sui diritti umani in Colombia, meccanismo della giurisdizione latinoamericana della Cidh, per verificare in loco, nei prossimi mesi, le raccomandazioni Cidh emesse scorso 7 luglio.L’establishment in Colombia non vuole testimoni europei, non vuole osservatori internazionali, perché la politica dei massacri è legata al modello colombiano delle barbarie, che viene pure esportato, come dimostra il caso di Haiti”.
Interessi e conflitti ambientali. Altri interrogativi, come ci spiega la prof. Mejia, ci portano proprio nella missione Onu e al discusso responsabile di allora, Christian Thompson, che secondo un articolo apparso sul giornale online “Ojo público” avrebbe ricevuto da Paciolla una richiesta d’aiuto quattro giorni prima della morte. Lo stesso Thompson, secondo lo stesso articolo, in precedenza aveva lavorato per l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo internazionale in Colombia e di società private legate a progetti estrattivi, e anche recentemente, rivela Mercedes Mejia, per progetti petroliferi nel dipartimento del Putumayo. La docente e attivista è in prima linea in numerosi conflitti ambientali e contro progetti estrattivi, oppure nella difesa dei piccoli proprietari terrieri. Proprio in assemblee comunitarie di popolazioni indigene e campesine, la Mejia aveva conosciuto Paciolla, anche se non direttamente.Non sempre, in questi anni, l’Onu è stata alleata delle popolazioni locali e indigene.Da registrare, negli ultimi mesi la battaglia contro l’alleanza strategica siglata tra il programma Onu e l’impresa petrolifera GeoPark per progetti nel Putumayo. Un’alleanza, però, cancellata nel maggio scorso.
Intanto, ci dice padre Angelo Casadei, missionario della Consolata, da tempo nel Caquetá, a Solano (a una certa distanza dalla zona del Caguán: “Mi risulta che la Missione Onu sia pronta a rientrare a San Vicente”. Per il resto, il missionario spiega che del caso Paciolla si è parlato con i confratelli, storicamente presenti nella regione, ma senza avere elementi decisivi:“La Colombia è un Paese tanto complicato. E qui c’è una storia fatta di contraddizioni, conflitti, presenza storica della guerriglia e, ora, dei dissidenti Farc”.I morti, tra i difensori dei diritti umani e gli ex guerriglieri che hanno accettato l’accordo di pace, non si contano. Uno di questi, Marco Tulio Salcedo, era stato intervistato proprio da padre Casadei, poco tempo prima di venire ucciso. Insomma, Paciolla fa parte di una lunga scia di morte. Ma, per motivi ancora non del tutto chiari, la sua fine sembra particolarmente inquietante e singolare.
(*) giornalista de “La vita del popolo”