SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Prosegue il nostro viaggio all’interno delle corsie ospedaliere per incontrare i primari di alcuni reparti dell’Ospedale Civile Madonna del Soccorso della nostra città. Oggi ospitiamo la Dott.ssa Tiziana Principi, Primario di Anestesia e Rianimazione. Dopo aver ottenuto la Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Ancona nel 1993, ha conseguito il Diploma di Specialità in Anestesia Rianimazione e Terapia Antalgica presso mo stesso Ateneo nel 1997. Ha poi proseguito la sua formazione acquisendo un Master di 1° Livello in Terapia Intensiva Pediatrica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma, oltre ad altri Master di Aggiornamento di Nutrizione Clinica e Dietoterapia, di Aggiornamento in Ecocardiografia Clinica. Ha inoltre conseguito un Master di 1° livello in Diritto
Sanitario e Management delle Aziende Sanitarie e sta seguendo attualmente un Master di 2° livello in Management delle organizzazioni sanitarie a rete per Direzione di Azienda Sanitaria e Ospedaliera. Dal 1997 al 2017 è stata Dirigente di 1° livello con incarico di Responsabile della Terapia Intensiva Respiratoria presso gli Ospedali Riuniti di Ancona, Clinica di Anestesia e Rianimazione. Da 4 anni, presso l’Ospedale di San Benedetto del Tronto, è Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Anestesia Rianimazione e Direttore del Dipartimento di Emergenza Urgenza dell’Area Vasta 5 (PS-MURG SBT, Cardiologia SBT, PS-MURG AP, Anestesia Rianimazione AP, Cardiologia Emodinamica AP, CO118). Durante pandemia ha ricevuto incarico ufficiale di coordinare la Terapia Semi-intensiva e Intensiva Covid in Area Vasta 5.
Cosa è cambiato nella vostra professione, per lei e per i suoi colleghi sanitari, da quando è iniziata l’emergenza Coronavirus?
A Marzo 2020 la mia rianimazione in poco tempo si è trasformata in rianimazione Covid, cioè esclusivamente Covid, con successiva chiusura dell’Ospedale che è diventato fino a Giugno 2020 Struttura Covid, con oltre 90 posti letto. L’impatto iniziale è stato devastante perché non sapevo cosa sarebbe successo e come sarebbe finita. Tranquillizzare un’equipe medico-infermieristica è stata l’impresa più difficile: per questo motivo dal primo paziente Covid non li ho mai lasciati soli, tanto che la mia presenza in ospedale, durante quel periodo, era assicurata tutti i giorni dalle ore 8:00 alle ore 21:00, talvolta anche fino alle ore 23:00. I miei medici hanno lavorato tutti i giorni solo con pazienti Covid con turni settimanali di 50 ore invece di 36 ore; lo stesso hanno fatto gli infermieri. Sono uscita distrutta fisicamente e psicologicamente e soprattutto con l’incognita dell’autunno. Dopo una breve pausa nei mesi estivi (Luglio, Agosto e in parte Settembre), abbiamo ricominciato come prima, con l’unica differenza che avevamo creato più posti letto dedicati e tecnicamente perfetti: dodici posti letto tutti con climatizzazione a pressione negativa, con moltissimo materiale e strumentazioni donate o acquistate dalla Direzione. La mia vita e quella nel mio reparto è comunque cambiata definitivamente: da Marzo 2020 fino ad oggi, che abbiamo riaperto nuovamente la rianimazione pulita No Covid e che abbiamo a disposizione per le emergenze tre posti letto Covid, abbiamo superato tanti problemi e criticità, ma non abbiamo ancora una sicurezza per il futuro. È passata la fase 1, così come la 2 e anche la 3. Ma poi? Sappiamo solo che siamo stanchi e disorientati.
Per quanto riguarda la sicurezza abbiamo avuto e abbiamo anche ora tutto.Qui a San Benedetto del Tronto i dispositivi non sono mai mancati, perciò il personale lavora tranquillo. Le attività No Covid sono state completamente interrotte tra Marzo e Giugno 2020, mentre da Ottobre 2020 a Giugno 2021 sono state ridotte, perché l’ospedale è rimasto aperto e quindi abbiamo lavorato doppio (sale operatorie ridotte ma comunque aperte, Pronto Soccorso aperto a tutti, ostetricia aperta).
Come riuscite a gestire le paure dei vostri pazienti e dei loro familiari in questa particolare situazione? Cosa fate per mantenere un rapporto di umanità con loro, nonostante le restrizioni?
I familiari sono stati chiamati sempre; in particolare quelli dei pazienti più gravi sono stati contattati telefonicamente sempre da me personalmente. Dove è stato possibile, con il paziente sveglio, abbiamo anche effettuato delle videochiamate. La cosa più difficile è stata comunque quella di comunicare il decesso del paziente Covid ai propri cari, tenuto conto anche del fatto che non era loro permesso entrare o toccare il proprio familiare. Per noi operatori sanitari la cosa è stata devastante.
C’è qualche paziente di questi mesi che le è rimasto nel cuore più di altri? Perché?
Speciali lo sono stati un po’ tutti i pazienti, ma uno mi è rimasto impresso. Nel periodo di Novembre/Dicembre 2020 entrò un paziente con shock cardiogeno da miocardite Covid arrivato in stato premorte con probabilità di rischio di morte all’ingresso del 90%, poi sopravvissuto dopo 3 mesi di degenza. Questo paziente giovane, di soli 58 anni, è stato molto dolce e per questo motivo ci siamo legati moltissimo a lui, ma – se devo essere sincera – li abbiamo amati tutti i nostri pazienti e lo sanno.
Le esperienze che si vivono nel reparto di Rianimazione sono le più estreme. Cosa si sente di dire a chi ancora è scettico in merito all’esistenza del Covid?
Dico loro una cosa molto semplice: parlate con chi è stato da noi ! Non credere all’esistenza del Covid è irrispettoso nei confronti di che non ce l’ha fatta.
Può spendere qualche parola in particolare sugli operatori del 118 e sul primo soccorso in merito al loro servizio durante la pandemia?
Abbiamo lavorato tutti in squadra, nessuno sconto per nessuno.
Nonostante tutto, c’è qualcosa di positivo che l’esperienza della pandemia le ha lasciato?
Purtroppo la pandemia è ancora in corso e faccio difficoltà a trovare qualcosa di positivo in questa esperienza. Nella Fase 1 della pandemia siamo stati supportati dalla popolazione e trattai come eroi; ora, invece, si pretende tutto. Purtroppo noi sappiamo ancora poco di questo virus, quindi abbiamo ancora poche armi e siamo comunque sempre molto soli. A volte sembra che il problema sia solo di chi sta in Pronto Soccorso, in Pneumologia o in Medicina d’Urgenza e Rianimazione, perché molto colleghi e specialmente delle specialità chirurgiche, non sempre capiscono. Io stessa sono stata attaccata perché curavo i pazienti Covid. Se proprio devo pensare a qualcosa di positivo, mi viene in mente il più bel regalo che ho ricevuto in questi mesi, cioè questo messaggio che mi è stato inviato da un mio ex paziente:
Che messaggio si sente di dare ai nostri lettori?
Il Covid ci sta insegnando che siamo estremamente fragili, che le catastrofi hanno molte facce e sicuramente siamo in un periodo di grande negatività. Se non rispettiamo le regole e non cerchiamo di riflettere, non ne usciremo mai, perché oggi si chiama Covid-19, ma domani potrebbe chiamarsi forse Covid-20 o altro.
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Persona meravigliosa, mi sento di dire che gli devo la vita, mi ha accompagnato da S. Benedetto al S. Stefano di Porto Potenza, prendendosi cura di me fino in ultimo. Grazie Dottoressa.