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La “cura” può fare la differenza. Anche contro la tratta

Andrea De Angelis – Vatican News 

La cura è quella che il Papa ha definito “vaccino per il cuore” e la cui importanza ha sottolineato in numerose occasioni, da ultima quella del ricovero al Policlinico Gemelli. Avere cura dei malati, dei vicini, dei familiari. Cura del prossimo. Curare chi è ferito, come quei soggetti vittima delle tratta delle persone. A quella cura guarda oggi Talitha Kum, la Rete Internazionale della Vita Consacrata contro la tratta di persone. Lo fa lanciando la campagna “Care Against Trafficking”, con la quale si vuole dimostrare che la cura può fare la differenza in ogni fase del percorso per combattere la tratta di persone: cura per chi è a rischio, cura per le vittime e cura per i sopravvissuti.

Dalla loro esperienza sul campo, le suore sanno che gli approcci a lungo termine incentrati sulla cura possono ridurre il rischio che i sopravvissuti siano nuovamente trafficati e sfruttati. Tuttavia, affermano nel lanciare la campagna, questi approcci richiedono una partecipazione a livello istituzionale che le consacrate da sole non possono garantire. Occorre allora che tutte le persone di buona volontà si uniscano per affrontare le cause sistemiche della tratta e che i governi si impegnino nel sostenere chi ha vissuto questo dramma ed ha bisogno, appunto, di essere curato. Cura significa allora anche istruzione, opportunità di lavoro, assistenza medica e giustizia, per chi, come la nigeriana Kate, a soli 11 anni è finita nel giro della prostituzione, attratta da una falsa proposta di poter accedere ad un percorso di istruzione secondaria o per Rosa, peruviana, che sognava di lavorare in un ristorante dopo aver studiato fino a 18 anni per realizzare il suo progetto professionale. Rispondendo ad un annuncio di lavoro che le prometteva un impiego in una prestigiosa struttura ricettiva, è stata invece sfruttata sessualmente. Di schiavitù domestica è rimasta vittima Jessie, in Uganda, costretta a lasciare il lavoro in un impianto chimico a causa di una grave allergia ai materiali utilizzati nella sua mansione.

Suor Gabriella Bottani, CMS, coordinatrice internazionale di Talitha Kum, a Radio Vaticana – Vatican News sottolinea come il Papa ci chieda di trasformare “l’economia della tratta in un’economia della cura”. Un percorso che riguarda i consacrati, i laici, da realizzare nelle famiglie così come negli Stati. E sono tante le storie di chi ce l’ha fatta, grazie all’aiuto ricevuto e ad un percorso favorito anche a livello territoriale ed istituzionale da politiche di integrazione, capaci di accogliere chi è stato sfruttato. Pagando un prezzo alto.

La campagna che voi lanciate ad una settimana dalla Giornata mondiale che si celebrerà venerdì 30 luglio, vi vede chiedere a tutti un impegno per vincere il dramma della tratta, ma anche la capacità di raccontare le storie belle, di chi è riuscito a curare le ferite e ripartire. 

Ascolta l’intervista a suor Gabriella Bottani

Sì, l’idea della campagna nasce dall’esperienza del tempo che stiamo vivendo, segnato dalla pandemia. Un tempo in cui abbiamo imparato e recuperato il valore della cura, ed è la cura contro la tratta delle persone il tema della campagna. L’hashtag #CareAgainstTrafficking ci ricorda il valore della cura, una parola questa tanto caro al Papa che nell’ultima edizione della Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta, l’8 febbraio scorso, ci ha ricordato l’importanza di promuovere un’economia della cura. Un’economia che contrasta con l’economia di sfruttamento, intesa non solo in senso di grande mercato, ma anche nella capacità di curare la casa comune, la dignità delle persone. Ciò di cui ci preoccupiamo ogni giorno e che è funzionale a combattere contro lo sfruttamento delle persone. Da qui nasce poi l’idea di raccogliere le storie delle persone, raccontando come ci possiamo prendere cura per contrastare la tratta. Si può fare in diversi modi, partendo da ciò che noi tentiamo, con semplicità e non con perfezione, di fare con gesti di cura. Abbiamo sostenuto le sopravvissute ed i sopravvissuti, anche dentro la realtà di crisi della pandemia, offrendo loro aiuti materiali concreti come il pagamento dell’affitto o l’avere del cibo. Cura vuol dire favorire un’istruzione di qualità per essere competitivi nel mercato del lavoro.

Sono tante le storie, vuole accennare ad una in particolare?

Sì, sono veramente tante. Raccogliendole mi colpiva molto quella delle sorelle in Libano che hanno ricevuto la richiesta di un’anziana mamma etiope, che aveva perso contatto con la figlia, andata anni prima in Medio Oriente. Siamo riusciti ad identificarla, il luogo in cui si trovava era il Libano e per sei mesi l’hanno cercata. Alla fine l’hanno trovata, era in un ospedale psichiatrico a causa dei traumi patiti per la tratta. Da lì è iniziato tutto un processo di recupero e di ritorno. La cura ti fa vicina a ferite profonde, che non si curano velocemente.

Il vostro invito è rivolto ai singoli, laici e consacrati, ma anche ai governi e agli Stati. Parlare di istruzione, di lavoro, di giustizia vuol dire chiedere un impegno concreto, delle politiche che combattano davvero il fenomeno della tratta?

Assolutamente, noi raccontiamo quelli che sono i bisogni di oggi attraverso la nostra esperienza e desideriamo che questo messaggio arrivi ai governi, alle organizzazioni internazionali affinchè la dignità della persona, attraverso questo processo di liberazione, sia veramente posta al centro. In tempi difficili come questi dobbiamo tenere alta l’attenzione per non lasciarci prendere da situazioni che normalizzino lo sfruttamento. Papa Francesco diverse volte ci ha parlato del rischio dell’indifferenza, che permette alla tratta di fiorire ed anche di normalizzare. Non possiamo abbassare la guardia, la dignità di ogni persona deve essere promossa.

Non possiamo abbassare la guardia, non possiamo abbassare lo sguardo. C’è il rischio che questo fenomeno appaia lontano dal vissuto delle singole persone, che non ci si senta in grado di fare davvero qualcosa per arginarlo nel quotidiano?

Sì, credo che un punto da vincere sia proprio la paura. Quella dell’impoverimento, anche la paura di entrare in relazione con le ferite degli altri che possono metterci anche in situazioni scomode. Negli anni in cui mi sono impegnata e mi sto impegnando con Talitha Kum, mi accorgo che unire le forze, stare insieme, ritrovarci e sostenerci è fondamentale. Questo è un cammino importante se fatto insieme, riunendo le forze del bene che sono presenti nella nostra società affinché si trovi il coraggio di guardare. Tante volte non guardiamo perché non sappiamo cosa fare, perché da soli non possiamo fare nulla. Se impariamo ad alzare lo sguardo insieme, come ho visto tante volte nel sostenere la creazione delle reti di Talitha Kum nel mondo, il miracolo può avvenire.

In che modo si possono condividere storie ed esperienze?

Invitiamo a farlo ad esempio sui social, raccontando in questa settimana che ci separa dalla Giornata mondiale del 30 luglio storie ed esperienze con l’hashtag #CareAgainstTrafficking, taggando @talithakumrome in modo che il racconto diventi visibile. La storia può essere inviata, anche breve, all’indirizzo email communication@talithakum.info che è l’indirizzo di posta elettronica dove stiamo raccogliendo le storie per poi diffonderle attraverso i social. Storie ed esperienze che possono essere inviate anche in più lingue, non solo in italiano.

Un’economia senza tratta, afferma il Papa Francesco nel videomessaggio per la settima Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro il traffico di esseri umani, si prende cura delle persone e della natura. È una “economia solidale”. Un’economia senza tratta, aggiunge Francesco, è disciplinata da “regole di mercato che promuovono la giustizia e non esclusivi interessi particolari”:

La tratta di persone trova terreno fertile nell’impostazione del capitalismo neoliberista, nella deregolamentazione dei mercati che mira a massimizzare i profitti senza limiti etici, senza limiti sociali, senza limiti ambientali. Se si segue questa logica, esiste solamente il calcolo di vantaggi e svantaggi. Le scelte non si fanno in base ai criteri etici, ma assecondando gli interessi dominanti, spesso abilmente rivestiti con un’apparenza umanitaria o ecologica. Le scelte non si fanno guardando le persone: le persone sono uno dei numeri, anche da sfruttare.

Un’economia senza tratta, conclude Francesco, è un’economia coraggiosa che risponde alla crisi in maniera non miope e che guardi non solo al breve, ma anche al lungo periodo. Mettendo sempre al centro la persona.

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