“Paolo VI ha amato tanto i vescovi, in modo particolare i vescovi italiani, che poteva seguire più da vicino”. A rivelarlo è mons. Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa pontificia, nel suo ultimo libro, “Paolo VI – Povero cuore di vescovo”, edito da VivereIn.
Emblematiche le parole che Paolo VI ha rivolto alla Curia il 21 settembre 1963, agli inizi del suo pontificato: “Non sia la Curia Romana una burocrazia, come a torto qualcuno la giudica, pretenziosa ed apatica, solo canonista e ritualista, una palestra di nascoste ambizioni e di sordi antagonismi, come altri la accusano; ma sia una vera comunità di fede e di carità, di preghiera e di azione”. La Chiesa è servizio, non c’è posto per chi mette al primo posto la carriera, come ha detto anche Papa Francesco il 25 aprile di quest’anno, parlando ai sacerdoti novelli: “Questa non è una carriera: è un servizio!”.
“Ditelo voi: è facile oggi fare il vescovo?”.
È questa, rivela l’autore del libro, la domanda che spesso Paolo VI faceva durante le messe celebrate nelle diocesi, conoscendo tante situazioni particolari di tensioni e di pressioni con cui i presuli si trovano spesso a dover fronteggiare.
In Italia, “nessuno vorrà dire che sia facile oggi fare il vescovo!”,
la risposta data l’11 aprile 1970 a proposito delle difficoltà del ministero episcopale, causa a volte di non accettazione da parte dei candidati.
“Il vescovo è un cuore, dove tutta l’umanità trova accoglienza”,
la bellissima definizione del ministero episcopale offerta il 30 giugno 1974: “Povero cuore d’un vescovo – come farà ad assumere tanta ampiezza?”. Secondo Papa Montini, sono due le difficoltà maggiori che incontra un presule nell’esercitare il suo ministero: l’esercizio del magistero e l’esercizio dell’autorità. “L’autorità è un dovere, è un peso, è un debito”, afferma ad esempio l’8 luglio 1970. La virtù più necessaria, allora, è la fiducia, virtù che declinata in senso cristiano “non ignora le difficoltà del tempo presente, né le delusioni, che possono abbattere il nostro ottimismo” (11 aprile 1970). “Siate forti e siate felici di essere ciò che siete, come Cristo, dati alla Chiesa”, l’invito che esorta a coniugare la fiducia con la fedeltà. In modo che non sia più un “povero cuore d’un vescovo” ma, come concludeva Paolo VI : “No, povero! Felice piuttosto il cuore d’un vescovo, che è destinato a plasmarsi sul cuore di Cristo, e a perpetuare nel mondo e nel tempo il prodigio della carità di Cristo. Sì, felice così!” (30 giugno 1974).