SAN BENEDETTO DEL TRONTO – In un momento di forte crisi per i colori rossoblu, con la prima squadra cittadina del popolare calcio a 11 che non è riuscita ad iscriversi al campionato, qualche barlume di speranza arriva dal calcio da spiaggia e, precisamente, dalla squadra femminile della Sambenedettese Beach Soccer che, per la seconda volta di seguito, si è laureata campionessa d’Italia. Questo il team vincente:
Allenatori: Monica Barbizzi e Oliviero Di Lorenzo
Team Manager: Dajana Petrini
Giocatrici: Cristina Olivieri (capitano), Ana Beatriz Ribeiro, Jessica Maranella, Aurora Faini, Francesca Pezzotti, Giorgia Carlini, Serena Malatesta, , Adriele Da Rocha, Chiara Poli, Michela Marucci, Aida Xhaxho, Cristina Capannelli, Rebecca Ponzini, Patrizia Caccamo.
Abbiamo incontrato Chiara Poli, calciatrice, e Monica Barbizzi, allenatrice.
Come si giunge ad un successo del genere?
Chiara: Con passione ed impegno. Io sono di Ascoli Piceno ed il calcio è stata la mia passione da quando sono nata. Considera che la mia prima foto con un pallone risale a quando avevo otto mesi! Ho iniziato a sette anni nella Scuola Calcio di Folignano in cui ero l’unica calciatrice in mezzo a tanti ragazzi, perché, di regola, fino a quattordici anni le squadre sono miste. Successivamente mi sono spostata al Castel di Lama che era un punto Juve. Essendo io una grandissima tifosa bianconera, per me è stato un enorme piacere poter giocare allo Stadio Delle Alpi! Ricordo di aver incontrato calciatori famosi e bravissimi che, prima di allora, avevo visto soltanto in televisione! E così mi sono ritrovata ad undici anni a conoscere personalmente dei grandi talenti del mondo del calcio, come Alessandro Del Piero e Gabriel Batistuta, giocatori che all’epoca erano i miei idoli. A quattordici anni sono entrata alla Picenum, una squadra tutta femminile di Castel di Lama. Questa società aveva la prima squadra che giocava il campionato di Serie A e la squadra delle giovanissime che giocava invece in Serie C. Qui ho vissuto degli anni bellissimi, in cui ho imparato a giocare da vera professionista e mi sono divertita molto: ho partecipato a campionati nazionali, ho viaggiato in tutta Italia, ho conosciuto persone bellissime ed ho fatto tantissime esperienze. Terminati gli studi superiori presso il Liceo Psico-socio-pedagogico di Ascoli Piceno, ho proseguito gli studi presso la facoltà di Scienze della Comunicazione di Macerata, dove ho giocato ancora due anni in serie B in forza al Montecassiano. Poi nel 2010 sono tornata alla Picenum, ma la società è stata duramente colpita dalla crisi economica di quel periodo e ha deciso di chiudere i battenti. È così che ho avuto modo di scoprire un’altra grande passione, quella del calcio a 5. Per circa dieci anni ho giocato per una squadra di Pagliare del Tronto e altre società locali. Poi, negli ultimi due anni, sono tornata al calcio a 11, prima nella Sambenedettese e poi nella Vis Civitanova. Insomma non ho mai mollato, mi sono sempre allenata e ho cercato di crescere a livello fisico, tecnico e mentale, senza mai arrendermi.
Monica: Anche io, come Chiara, ho iniziato da giovanissima a giocare a calcio, ma per strada, e – devo dire – per fortuna! Solo a quattordici anni ho iniziato a giocare a calcio nella Sambenedettese, la prima squadra femminile che è stata fondata a San Benedetto del Tronto; poi sono andata in forza alla Picenum in serie A. Solo molti anni dopo, sono passata anche ad allenare. Ho iniziato facendo la coach della squadra maschile degli esordienti a Castignano, poi sono divenuta seconda allenatrice della squadra di futsal, meglio conosciuto come calcio a 5. Quello che, senza dubbio, mi ha portato a raggiungere certi traguardi è stata la determinazione che, in alcuni momenti, si è tradotta anche in ostinazione e caparbietà. Nella vita, infatti, sono una operatrice Shiatsu e sono anche impiegata amministrativa in un laboratorio odontotecnico: riuscire a portare avanti anche la mia passione per il calcio è stato spesso faticoso, ma le soddisfazioni che ne sono derivate mi hanno reso molto felice.
Come avete costruito questa squadra così vincente?
Chiara: Essendo la squadra maschile molto titolata, la Sambenedettese Beach Soccer nel 2019 ha deciso di creare anche quella femminile. Io sono stata contattata da Paolo Tamburrini che non finirò mai di ringraziare. All’epoca erano allenatori lui e Oliviero Di Lorenzo, un altro nome importante nel Beach Soccer, un campione che ha vinto di tutto tra Campionato Nazionale, Coppa Italia e Super Coppe, e nessuna di noi ha avuto il coraggio di dire di no! La squadra femminile, quindi, ha beneficiato di questa grande esperienza che veniva dal mondo maschile e che aveva una certa autorevolezza nell’ambito del settore. Poi è partita l’avventura!
Monica: È stata un’opportunità fantastica! Quando Oliviero mi ha detto che aveva il desiderio di formare una squadra femminile, in realtà non c’era in programma di gareggiare per il campionato; tuttavia, nel giro di una decina di giorni, ci siamo ritrovati con circa venti atlete pronte a giocare, qualcuna proveniente dal mondo del calcio a 11, qualcuna da quello del calcio a 5, alcune giovanissime, anche al di sotto dei venti anni, altre invece ex giocatrici di esperienza, ma ancora giovani per poter affrontare questa sfida. Quindi abbiamo iniziato subito ad allenarci e, constatato il grande entusiasmo che si percepiva, abbiamo deciso di iscriverci. Così, anche se l’obiettivo era di creare la squadra e costruire le basi per poi partecipare al campionato successivo, abbiamo deciso di anticipare e concretizzare da subito il progetto.
Così avete fatto la storia: appena nata, la squadra ha subito portato a casa due successi consecutivi …
Chiara: Si, siamo state felicissime! Le vittorie inaspettate sono le più belle! Poi affilarne due, una dietro l’altra, ci ha dato una carica pazzesca!
Monica: Nel 2019 non ci aspettavamo di partecipare, figuriamoci di vincere! Invece, per lo scorso anno, un pensierino ce lo avevamo fatto, ma poi la pandemia ha impedito lo svolgimento del campionato 2020. Quest’anno la voglia di ricominciare ad avere una vita normale ed il fatto che comunque il nostro è uno sport che si gioca all’aperto, hanno fatto sì che potessimo partecipare e vincere. Le quattro arene scelte dalla FIGC ad inizio campionato sono state Napoli, Locri, Lignano Sabbiadoro e la nostra San Benedetto del Tronto. Le squadre che hanno partecipato al campionato femminile sono state sette in tutta Italia, quindi sono stati organizzati due gironi, poi la prima di ciascun girone ha giocato la finale che quest’anno si è disputata proprio in casa nostra, a San Benedetto del Tronto, dove abbiamo affrontato il Napoli, vincendo 2 – 1.
E ora quali sono i progetti per il futuro?
Chiara: Le squadre che hanno vinto il campionato nazionale, l’anno successivo, possono partecipare agli Euro Winners, una sorta di Champions League del Beach Soccer. Perciò a Maggio 2022, se volessimo, potremmo andare in Portogallo e giocarci la premiership europea, ma dobbiamo vedere cosa ci dice la società perché il viaggio sarà molto dispendioso ed impegnativo.
Monica: Non voglio dare false speranze a nessuno, ma credo che ci siano buone possibilità di andare in Portogallo. Noi incrociamo le dita! In ogni caso, l’obiettivo è di riprovarci il prossimo anno: dobbiamo verificare la disponibilità delle atlete che hanno partecipato quest’anno e se è possibile fare qualche nuovo innesto. Poi si riparte con tanto entusiasmo e complicità: nel femminile, infatti, più che nel maschile, la squadra diventa una piccola famiglia che si supporta nei momenti più importanti o difficili.
Una bella rivincita nei confronti di chi reputa il calcio femminile uno sport di serie B. In tal senso avete mai subito ingiustizie o discriminazioni?
Chiara: Purtroppo il calcio femminile e quello maschile non vengono trattati allo stesso modo. La cosa che veramente mi dispiace del calcio femminile è che, nonostante l’impegno e la preparazione siano al pari del campionato maschile, purtroppo a noi atlete non viene data una retribuzione pari a quella dei colleghi uomini. Pertanto quello che facciamo, anche a livelli più alti, come ad esempio nel regionale, lo facciamo sempre e solo per pura passione. Non abbiamo, infatti, uno stipendio, ma ci vengono riconosciuti soltanto dei rimborsi spesa che ci permettono di affrontare le trasferte. Per vedere degli stipendi veri, dignitosi, bisogna giocare in Serie A nel calcio a 5; già in serie A2 la situazione cambia. Pertanto, fin dall’inizio, ho avuto sempre ben chiaro in testa che non avrei potuto fare di questa passione un lavoro perché non avrei avuto il necessario per vivere. Ho sempre dovuto considerare questa passione come tale e non l’ho mai potuta reputare un lavoro, per cui ho sempre portato avanti un’altra attività come giornalista e come esperta della comunicazione. La cosa sconcertante di questi ultimi anni è che la Lega Calcio ha imposto alle società di creare delle squadre femminili proprio per incentivare la partecipazione delle donne a questo sport meraviglioso, ma purtroppo molte di esse non affrontano in maniera seria il problema e non prendono questo obbligo come un’opportunità, bensì come un un’incombenza da effettuare per non pagare multe. Per fortuna ci sono società che, invece, credono nel calcio femminile, ci investono seriamente e sono all’avanguardia. Ma sono poche.
Monica: Il fatto che la Uefa, alcuni anni fa, abbia caldamente raccomandato alle società di avere settori giovanili propri, ha contribuito a ristabilire, in parte, il giusto equilibrio e superare quel gap tra il calcio maschile e quello femminile che viene da lontano e che ancora purtroppo esiste. Il problema è di natura economica e soprattutto culturale. Il calcio, infatti, da sempre nasce con gli uomini, pertanto noi donne abbiamo dovuto sempre un po’ inseguire i campionati maschili. Il fatto che culturalmente questo sport non sia mai stato associato alle donne, significa che le bambine non hanno mai potuto acquisire a livello tecnico la stessa preparazione dei bambini maschi. Le qualità tecniche e tattiche, infatti, si raggiungono allenandosi fin da piccoli: mentre per i ragazzi è frequente iniziare ad allenarsi fin da bambini, noi ragazze, al contrario, anche se ci piace, ci avviciniamo tardi a questo sport, perché prima dobbiamo affrontare una serie di problemi legati o al fatto che i nostri genitori ed amici non accettano facilmente la nostra scelta oppure legati al fatto che siamo le uniche in una squadra tutta maschile. È chiaro quindi che – a parità di età – il calciatore avrà una preparazione tecnica e tattica sempre maggiore rispetto ad una calciatrice perché, man mano che si cresce, diventa sempre più difficile recuperare il gap con un collega uomo. Negli ultimi anni, comunque, il livello di preparazione delle calciatrici si è alzato moltissimo. Se riuscissimo a cambiare anche culturalmente l’approccio a questo sport, dando alle ragazze e ai ragazzi la stessa possibilità di provare e di allenarsi, sicuramente nei prossimi anni non ci sarà più alcuna differenza, se non a livello fisico e biologico.
Quali sono state le reazioni del mondo istituzionale e della gente comune al vostro successo nazionale?
Chiara e Monica: Per quanto riguarda il successo di pubblico, dobbiamo specificare che i campi da gioco sono stati due. Il campo principale era al chiuso: qui non era permesso a nessuno accedere se non agli addetti ai lavori e nessuno era autorizzato adeaffettuare riprese ad eccezione della troupe di Sky che ha trasmesso in diretta le partite. Solo durante la finale abbiamo avuto un po’ di pubblico, ma si è trattato di un numero limitato di persone che hanno occupato una sola tribuna, rispettando il distanziamento previsto dalle norme anti-covid. L’altro campo era invece libero, senza tribune: qui le persone venivano spesso a guardarci, magari di ritorno dalla spiaggia oppure appositamente per gustarsi il gioco e le partite. Tanto è stato l’affetto anche di amici e conoscenti. Anche a livello istituzionale siamo state sempre supportate: all’inizio del campionato, infatti, l’amministrazione comunale ha partecipato alla presentazione della squadra, sia quella maschile sia quella femminile; poi, dopo la vittoria, abbiamo anche ricevuto i complimenti del Sindaco. Del resto il beach soccer è uno sport che promuove il territorio e le sue attività. Alcuni sponsor hanno avuto la possibilità di promuovere le loro aziende locali attraverso la piattaforma Sky che ha una visibilità ampia e su larga scala, a livello non locale, bensì nazionale. Inoltre è stata fatta una grande pubblicità anche alla nostra cittadina che ha ospitato la finale. Non da ultimo questo sport attira molti turisti e tifosi che vengono a sostenere la loro squadra del cuore; quindi molte persone hanno pernottato qui a San Benedetto. Pertanto la nostra partecipazione al campionato ha incrementato il turismo, fornendo un ritorno economico sul territorio sia a livello di ristorazione e alberghi sia a livello di promozione della città e dei suoi tesori.
Che messaggio volete dare ai nostri lettori?
Chiara: Sono tante le cose che vorrei dire. Prima di tutto nel tempo il calcio femminile è cambiato e sta cambiando ancora, ma una delle cose più belle che mai è venuta meno è sicuramente la possibilità di lavorare sempre in gruppo, fare tante conoscenze, costruire rapporti di amicizia con persone, non solo della propria squadra, ma anche di altre squadre, non solo italiane, ma anche di altre nazionalità, soprattutto nel mondo del beach soccer. Inoltre voglio dire che la cosa più importante nello sport è la passione che ti muove. Io mi sono trovata ad un bivio nella mia carriera ed ho scelto di studiare e lavorare, lasciando la serie B a 23 anni, nonostante avessi la possibilità di giocare in serie A. Ho pensato che mi sarei dovuta spostare lontano da casa e dagli affetti e avrei dovuto trasferirmi in un’altra Università: non me la sono sentita. Ma non rimpiango assolutamente nulla, perché ho potuto studiare e lavorare, scegliere la professione che mi piace, continuare a giocare, seppur in categorie più basse, ma è stato comunque un piacere, perché, se ami il calcio, lo ami sempre e a tutti i livelli. Grazie alla mia passione, io sono arrivata a siglare, in gare ufficiali, oltre 400 gol tra calcio a 11 e futsal, un record personale di cui vado molto fiera. Per questo motivo voglio lanciare un messaggio alle bambine e alle ragazze. Non ponetevi mai limiti, nella vita, nello sport e nelle vostre passioni. Non pensate mai di non farcela. Provateci e mettetevi in gioco, sempre, anche in sport o discipline meno note e popolari, che magari possono rivelarsi una sorpresa e darvi tante soddisfazioni. La passione muove ogni cosa e può portarvi lontano. Per quanto mi riguarda, la passione mi ha condotto a trovare un lavoro attinente ai miei interessi: infatti, nella vita sono una giornalista sportiva e faccio la cronaca delle partite di serie B. Il calcio per me è tutto!
Monica: Io, invece, voglio, dare un messaggio alle società sportive. Se vogliamo veramente cambiare le cose a livello culturale, dobbiamo partire proprio dalle società: sostenete lo sport in generale, ma soprattutto sostenete il calcio femminile in tutte le sue forme. Spesso non ci rendiamo conto di avere retaggi culturali antichi e sorpassati, che vanno cambiati, a partire dal nome! Spesso per indicare l’allenatore si usa il termine Mister, cioè Signore, che indica una figura maschile. È evidente che un’allenatrice non possa essere chiamata allo stesso modo. Uno degli appellativi giusti da usare potrebbe essere Coach. Noi donne ci siamo approcciate più tardi al mondo del calcio e anche le parole utilizzate più frequentemente sono cucite su misura per gli uomini. Dunque recuperiamo un linguaggio adeguato e cominciamo ad usare i termini corretti. Sembra banale, ma anche da queste piccole cose si inizia a cambiare mentalità.
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