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Accoglienza. Università Cattolica: “Ponti ad Amman” per contribuire all’inclusione dei cristiani iracheni in Giordania

di Gigliola Alfaro

Un “ponte tra Italia e Giordania”, per contribuire all’inclusione dei cristiani iracheni richiedenti asilo presenti in Giordania e, in particolare, ad Amman. È l’obiettivo del progetto “Ponti ad Amman. Luoghi di incontro per l’inclusione di cristiani iracheni in Giordania: sistema integrato di servizi medici e socio-educativi per i minori e le loro famiglie”. Il progetto, finanziato dal Servizio per gli Interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo della Cei attraverso i fondi 8xmille, che i cittadini italiani destinano alla Chiesa cattolica, è stato ideato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, nell’ambito delle iniziative promosse per celebrare il primo centenario dalla fondazione. Il primo passo è stato l’inaugurazione della “Casa Sacro Cuore”, edificio ristrutturato e riqualificato a Centro polifunzionale, la sera di venerdì 13 agosto, ad Amman, con la presentazione del progetto, a cui sono intervenuti il rettore dell’Università Cattolica, Franco Anelli, il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, che ha benedetto la Casa Sacro Cuore, don Mario Cornioli, presidente dell’Associazione Habibi Valtiberina, e Paolo Favari, in rappresentanza del Gemelli Medical Center (società benefit appartenente all’Università Cattolica attiva nel settore dei servizi sociali e sanitari). “Ponti ad Amman”, infatti, è implementato con il supporto di Gemelli Medical Center, e coordinato, a nome del Patriarcato latino, dall’Associazione Habibi Valtiberina, che da anni lavora in Medio Oriente.

“Oggi è sicuramente un momento di festa perché, finalmente, con grande creatività, si aggiunge un tassello importante al bel mosaico dell’accoglienza e dell’attenzione all’umanità ferita”, scrive il presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, in un messaggio in occasione della benedizione della Casa del Sacro Cuore. Facendo riferimento al titolo del progetto il porporato focalizza l’attenzione su tre punti. Innanzitutto, i “ponti”.“ In questi anni abbiamo imparato quanto sia importante fondare le nostre azioni sulla cultura dei ponti e non dei muri. Il popolo giordano ha dimostrato il calore e il sapore dell’accoglienza verso rifugiati palestinesi, iracheni e provenienti da altre aree di crisi, in particolare dalla vicina Siria. Una grande lezione di umanità, soprattutto per l’Europa”, evidenzia il card. Bassetti. La seconda parola è “inclusione”: “Verso le sorelle e i fratelli in fuga da guerre e da persecuzioni occorre un approccio integrale, che sappia ‘accogliere, proteggere, promuovere e integrare’. Questi quattro verbi, indicati da Papa Francesco, restano la bussola per affrontare la sfida delle migrazioni, in Italia e in Europa”. Il presidente della Cei ha quindi ribadito quanto ha già avuto modo di dire in altre occasioni: “Sui migranti, sui deboli, sugli esclusi un giorno sarà severo e inappellabile il giudizio di Dio: ‘Dov’è tuo fratello?’”. Infine, “Casa”: “La cura e la custodia non sono atteggiamenti o sentimenti puramente estetici, ma dicono tutto dell’interiorità. Quando parliamo di casa, il pensiero subito corre ai posti dove siamo cresciuti, dove sono tuttora custoditi i nostri affetti. È difficile parlarne con chi è costretto a fuggire verso luoghi più sicuri. A ben vedere, però, la casa non esprime solo fisicità, ma racchiude anche le pulsazioni di un cuore che sa farsi dono per gli altri, senza tornaconto personale. La Casa Sacro Cuore indica questo impegno preciso: farsi prossimi, fasciare le ferite e prendersi cura. È l’atteggiamento del Buon Samaritano che radica nel Sacro Cuore di Gesù”, evidenzia il cardinale.

Nell’ambito del progetto l’Università Cattolica sarà impegnata nel coordinamento e nella realizzazione dei percorsi di formazione sui temi dell’“Inclusive Education”, rivolti a insegnanti, counselor e famiglie irachene e giordane, attività nella quale saranno coinvolti docenti e ricercatori della Facoltà di Scienze della formazione e Psicologia dell’Ateneo. Il rettore Franco Anelli, raggiunto telefonicamente dal Sir ad Amman, spiega: “Il progetto scaturisce da una speciale sensibilità dell’Università Cattolica ai luoghi dove è nato il cristianesimo, nei quali la presenza cristiana attraversa oggi una fase difficile. Di qui la nostra idea di promuovere iniziative a sostegno delle comunità cristiane in Medio Oriente. Abbiamo costruito così questa opportunità insieme con Habibi e Gemelli Medical Center per promuovere strumenti di integrazione. Il compito principale dell’Università, dal punto di vista operativo, consiste, mettendo in campo le proprie competenze nell’ambito dell’educazione, nella formazione di insegnanti che si prendano cura di ragazzi che manifestino esigenze peculiari, non solo legate a condizioni psico-fisiche personali, ma anche derivanti dal loro status di persone espatriate e quindi sradicate dal loro contesto comunitario e familiare”. L’obiettivo, dunque, è aiutare insegnanti, counselor e famiglie a “imparare ad affrontare, con modalità moderne e adeguate, le esigenze dei ragazzi – aggiunge Anelli -. Questo è il contributo specifico dell’Università al progetto, a cui teniamo tantissimo e per la cui attuazione moltissime energie sono state profuse da noi e dagli altri partner”. Un grazie particolare alla Cei per “il grande e decisivo impegno attraverso l’8xmille. Tutto questo ha permesso di realizzare un’iniziativa che sorprende per il valore e l’importanza”.

Il progetto prevede l’avvio, con il supporto di Gemelli Medical Center, di un servizio di screening medico e psicologico di minori con “special need”, nonché l’organizzazione di incontri di educazione sanitaria sia per donne irachene e giordane sia per minori e famiglie giordani. Paolo Favari, direttore generale di Gemelli Medical Center, sempre raggiunto dal Sir telefonicamente ad Amman, chiarisce: “Noi ci occuperemo dello screening clinico e psicologico di bambini in età scolare, fino alla fine della scuola dell’obbligo, indicativamente 14/15 anni, e cercheremo di individuare i bisogni speciali di quei ragazzi che per il loro vissuto hanno qualche problematica. I risultati dei nostri screening saranno passati agli insegnanti al fine di poter gestire questi ragazzi durante il periodo scolastico”. In fase di redazione del progetto, dice Favari, “abbiamo già avuto un’esperienza molto bella e positiva. Ora ci aspettiamo di trovare dei ragazzi che non abbiano traumi importanti, ma che qui non hanno diritto né all’assistenza psicologica né all’assistenza sanitaria, pertanto ci mettiamo a disposizione per dare ascolto, inquadrare e trovare soluzione per le problematiche socio sanitarie che si presenteranno”.

La Casa Sacro Cuore intende proporsi come luogo di accoglienza e incontro nel quale saranno realizzate tali attività, la cui programmazione prenderà avvio dal mese di settembre. L’intervento è stato sviluppato in accordo con il Patriarcato latino di Gerusalemme le cui scuole presenti ad Amman sono parte attiva del progetto. La Giordania è diventata, nel corso della sua storia, tappa obbligata dell’esodo di numerosi profughi e considerata a livello internazionale tra i primi cinque Paesi nel mondo ad ospitare un ingente numero di richiedenti asilo provenienti da zone in stato di crisi. Per i profughi iracheni, la Giordania è un Paese di transito, in cui rappresentano una minoranza scarsamente considerata, non avendo il permesso di accedere al sistema sanitario nazionale né al sistema scolastico statale.
La Casa Sacro Cuore, ci racconta da Amman, don Mario Cornioli, presidente dell’Associazione Habibi Valtiberina, “è bellissima: abbiamo recuperato una vecchia casa attigua alla parrocchia e abbiamo allargato gli spazi anche della parrocchia, la St Joseph church o chiesa latina di Jabal Amman. Il progetto aiuterà soprattutto i diecimila bambini e ragazzi delle scuole del Patriarcato latino di Gerusalemme. Questo progetto di screening di ‘special need’ nasce proprio un paio di anni fa quando abbiamo iniziato la collaborazione con il Gemelli e la Cattolica e abbiamo visto che il 25% dei bambini delle nostre scuole avevano dei bisogni speciali, che si sono acuiti con l’emergenza sanitaria da Covid-19”.L’idea, prosegue don Mario, “è di creare figure di insegnanti di sostegno, cosa che manca un po’ in Giordania”. Ricordando “la bella presenza di profughi iracheni, circa 16mila”, don Cornioli evidenzia che “la Giordania è una terra di accoglienza , ci sono due o tre milioni di profughi, anche se è un Paese molto povero dal punto di vista delle risorse, in particolare dell’acqua”. Il sacerdote precisa: “La maggior parte dei profughi sono siriani, ma noi lavoreremo specialmente con gli iracheni, che sono i più dimenticati”. Il progetto coinvolgerà ragazzi iracheni e giordani, cristiani e musulmani. “Quando inizieranno le lezioni, a settembre, cercheremo di tarare anche il numero dei ragazzi con ‘special need’, da prendere in carico durante le varie missioni: potrebbe essere 50 a missione, questo è un numero che abbiamo immaginato come obiettivo”. “Noi siamo felicissimi come Chiesa locale – afferma don Mario – perché è un progetto che ci permette di collaborare con straordinarie realtà”. Un “ringraziamento alla Cei che attraverso dall’8xmille ci ha finanziato la gran parte del progetto e soprattutto l’acquisto della Casa e la sua risistemazione. Questo ha creato un circolo virtuoso perché per la ristrutturazione abbiamo dato lavoro, dopo un corso di formazione, ad almeno 12 papà iracheni dei nostri bambini”. Don Cornioli conclude: “L’idea è di creare questi ‘ponti’ ad Amman per attraversarli e permettere ai nostri amici italiani di conoscere tale realtà e mettersi a servizio di questa Chiesa che rappresenta la presenza cristiana da secoli in questa terra”.

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