DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
Spesso pensiamo che credere consista nel “raggiungere” Dio e che la fede sia solo una questione di sforzo. Invece, avere fede, è spalancare le braccia, mollando la presa da tutto ciò che reputiamo indispensabile, spalancare le braccia per ricevere un dono. Credere non è aderire a precetti e norme, per quanto santi e alti possano essere; credere non è aderire a “qualcosa” ma affidarsi a “Qualcuno”.
Lo sa bene Giosuè, lo sa bene il popolo di Israele. Leggiamo nella prima lettura di oggi che, dopo aver raggiunto la terra promessa, Giosuè convoca tutto il popolo dicendo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi che servire…quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore. Il popolo rispose: “Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dei! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio».
Giosuè e il popolo si affidano a Dio, a Colui che ha dato loro in dono la vita, che li ha accompagnati durante i quarant’anni di cammino nel deserto, dall’Egitto alla terra promessa. Lo dicevamo prima: non credono a qualcosa, non aderiscono a norme, ma si affidano al Dio presente nella loro vita, datore di ogni bene.
Quanto è difficile, però, fare nostro questo atteggiamento di accoglienza. Noi, solitamente, preferiamo fare qualcosa per il nostro Dio piuttosto che accogliere il suo dono e accettare che sia Lui a fare qualcosa per noi. E la storia del popolo di Israele, da qui in avanti, ne sarà una chiara evidenza.
Anche i discepoli di Gesù si scandalizzano della sua Parola, si scandalizzano che possa esistere il puro dono, la gratuità assoluta, l’amore immeritato, il potersi sentire amati anche se odiosi, raggiunti anche se perduti, abbracciati anche se peccatori.
Infatti, leggiamo nel vangelo: «Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui».
Eppure, di fronte a questo fallimento, Gesù non attenua le sue parole, il suo insegnamento, né rincorre chi se ne va. Addirittura, chiede agli apostoli: «Volete andarvene anche voi?».
È libero Gesù, non chiede appoggio, carezze, consolazione…a Gesù sta più a cuore il Regno che l’applauso della folla, è disposto a rimanere solo piuttosto che rinunciare al suo cammino di fedeltà all’amore del Padre.
Risponde Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna».
Pietro il pescatore, lui così simile a noi, lui che assaporerà l’ebbrezza della condivisione con il Maestro e, contemporaneamente, l’amara sconfitta del rinnegamento. Pietro così colmo di peccato come noi ma pronto a lasciarsi sconvolgere e coinvolgere dallo sguardo del suo Signore che sale sulla croce.
Facciamo memoria di quanto il Signore dona alla nostra vita, opera nella nostra quotidianità; conserviamo nel cuore tutti i suoi gesti di vicinanza, di custodia, di liberazione, di riscatto, di salvezza…e insieme con Pietro ripetiamo: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna».