di Bruno Desidera, giornalista de “La vita del popolo”
C’è chi pensa alla terza dose. E chi ancora non ha ricevuto la prima, nonostante sia medico, anziano o categoria fragile. Difficile pensare di affrontare una pandemia, diffusa per definizione in tutto il mondo, in un modo tanto diverso tra un Paese e l’altro. Eppure è proprio quello che sta accadendo, a partire dalla zona più diseguale del pianeta, l’America Latina.Grande è la confusione che caratterizza la campagna vaccinale nel Continente.Mentre le varianti stanno facendo nuovamente salire contagi e decessi, dal Brasile al Messico, c’è chi affronta l’attuale fase con il 3% o poco più di popolazione vaccinata, secondo i dati di fine agosto. È il caso del Nicaragua. Non molto meglio sta il Guatemala, con poco più del 6% di popolazione immunizzata. Superano di poco il 10% il Venezuela e l’Honduras, solo l’accelerata degli ultimi giorni ha consentito a Paraguay e Bolivia di superare il 20%. Il Perù è appena sopra. Il Messico è attorno al 25%; leggermente meglio, ma sotto il 30%, Brasile, Argentina e Colombia. Gli unici Paesi nei quali più del 50% della popolazione ha ricevuto la seconda dose sono l’Uruguay e il Cile, entrambi attorno al 70%. C’è da dire, poi, che in molti casi (a cominciare proprio dal Cile) si è fatto largo uso dei sieri cinesi (in particolare il Sinovac) e russi, non riconosciuti in Europa.
Limiti nella gestione globale e tanta confusione. “Il minimo che si può dire – spiega al Sir da Città del Messico Eduardo Missoni – è che si sta affrontando la campagna vaccinale in modo molto caotico e disomogeneo”. Il nostro interlocutore, medico di Medicina tropicale, ha una lunga esperienza nel campo delle organizzazioni internazionali e della cooperazione, oltre che dell’attività accademica, è stato referente Unicef a Città del Messico e ora nella capitale messicana collabora l’Istituto di Sanità. In passato ha vissuto a lungo in Nicaragua ed è stato segretario generale dell’Organizzazione mondiale del movimento scautistico e responsabile dei programmi sanitari per l’America Latina nella Direzione generale per la Cooperazione e lo sviluppo del ministero degli Esteri italiano. Premette che, sulla campagna vaccinale, ha delle opinioni personali: “Non penso che il vaccino sia l’arma salvifica, certo si tratta di un tema complesso e non appena si avanza qualche distinguo si rischia di essere catalogati come no vax. Il fatto è che una campagna vaccinale potrebbe funzionare solo se venisse fatta in brevissimo tempo in tutto il mondo, cosa impossibile”.
In ogni caso, “il vaccino è sicuramente importante per proteggere le categorie fragili, ma la sua gestione ha mostrato grossi limiti a livello di equità nella la distribuzione e nelle modalità di accaparramento da parte dei Paesi più ricchi. Lo ha fatto notare anche l’Oms, avvertendo che prima di pensare a una terza dose bisogna invece privilegiare il Paesi più poveri. Poi, come è noto, c’è il tema della gratuità dei brevetti. Scendendo, nel dettaglio, all’America Latina, ciò che risulta evidente è la grande confusione. Nel Continente vengono usati 9 vaccini, compreso quello nazionale prodotto da Cuba. C’è grande difformità nei criteri di reperimento e somministrazione, ritardi nell’arrivo delle dosi, annullamenti di accordi già presi in precedenza. Il programma Covax è fallito. In teoria dovevano arrivare 200 milioni di dosi, si è fermi a 35 milioni”.
Spesso il fallimento è figlio di ragioni politiche, “di leader incapaci. Certo, una pandemia dovrebbe essere affrontata con strumenti multilaterali, cosa che non avviene. Prevalgono le logiche geopolitiche. Pensiamo alla Cina, che ha conquistato molti mercati sudamericani con i propri vaccini, presenti in 15 Paesi latinoamericani e non riconosciuti in Europa, per esempio per accedere al green pass. Così, per esempio, accade che persone di classe medio alta non possono viaggiare in Europa. Poi c’è il caso del Venezuela, che ha aderito al programma Covax, ma i vaccini non arrivano perché una Banca svizzera ha impedito il loro pagamento da parte del Governo”.
In Guatemala e Nicaragua i vaccini praticamente non esistono. Vediamo, dunque, cosa sta succedendo nei Paesi dove si vaccina di meno. Risalta il caso del Guatemala, dove solo il 6% della popolazione ha ricevuto la seconda dose e meno del 20% la prima. Racconta padre Giampiero De Nardi, missionario salesiano, che presta servizio a San Benito, nel dipartimento settentrionale del Petén, da poco egli stesso contagiato nonostante avesse già fatto la prima dose: “La situazione è davvero incresciosa, si potrebbe definire comica se non fosse drammatica. E pensare che il presidente della Repubblica è un medico…In pratica gli unici vaccini esistenti sono quelli ‘regalati’, per esempio da Israele, Usa, Russia. Il Governo afferma di averli comprati, ma che c’è un ritardo nella consegna. Difficile sapere qualcosa, di certo il Guatemala ha ricevuto ingenti finanziamenti in aiuti umanitari, proprio per il Covid e per comprare i vaccini. E quindi bisognerebbe chiedersi dove sono questi soldi”.
Il grave ritardo nella campagna vaccinale coincide con una delicata situazione sociale e con un nuovo aumento dei contagi da Covid-19. “Il Paese è in rivolta – prosegue il missionario – con forti scioperi e con la richiesta di dimissioni al presidente Alejandro Giammattei. Con l’arrivo della variante delta sono aumentati i decessi, il rischio è che la pandemia esploda. Bisogna anche dire che molti non vogliono vaccinarsi, la gente crede un po’ a tutto.Il dipartimento del Petén è particolarmente colpito. San Benito, da quando sono iniziati i cosiddetti ‘semafori’, è sempre stato in zona rossa, anche se ora le limitazioni sono più blande rispetto all’inizio”.
Ancora peggiore la situazione in Nicaragua, dove il regime di Daniel Ortega fin dall’inizio ha nascosto la situazione del Covid-19 e i veri numeri della pandemia, che vengono aggiornati, costantemente al ribasso, solo ogni tre settimane. I medici che hanno provato a dire la verità sono stati intimiditi o addirittura arrestati, si è impedito loro di svolgere la propria professione. Chi non voleva arrendersi ha dovuto espatriare, come Leonel Arguello, epidemiologo dell’associazione Nicasalud. “Va detto – spiega dal suo luogo d’esilio – che il sistema sanitario del Nicaragua è perfettamente in grado di organizzare una campagna vaccinale, con una capacità minima di 155mila inoculazioni al giorno. In questo caso, invece, la vaccinazione è su base volontaria, il Governo viene esentato da qualsiasi responsabilità. La cosa più grave è che non vengono vaccinati i medici, i maestri, in generale non si fa alcuna opera di sensibilizzazione e di educazione”.
Tutto questo accade mentre la variante delta ha fatto il suo ingresso nel Paese: Per il Governo c’è un morto alla settimana, per il nostro Osservatorio circa 80 al giorno. Ma è difficile avere dati certi, i medici non possono parlare di Covid-19, rischiano di vedersi tolta la licenza”.
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