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Direttore Pompei: Partecipiamo con gioia all’anniversario di oggi in Cattedrale di Mons. Gervasio Gestori

Di Pietro Pompei

DIOCESI – Il 25.mo è una data che fa storia nella vita di ognuno di noi tanto più quando l’evento porta a cambiare completamente lo stile di vita.
Un’ordinazione episcopale comporta tutto questo in modo radicale. E si rimane tale anche quando il susseguirsi degli anni invita ad un certo punto di mettersi a riposo.
La memoria va a quel 7 settembre 1996 quando numerosissimi giungemmo a Milano ed in Duomo partecipammo all’ordinazione presieduta dal Card. Carlo Maria Martini: figura ieratica ancor più solenne dall’alto del pulpito dove pronunciò un’omelia indimenticabile; la stessa torna al
22 settembre 1996 con il solenne ingresso in diocesi. E non si può non tornare al momento dell’affettuoso commiato dopo 17 anni che il Vescovo Gervasio aveva convissuto con noi.
Sono stati momenti questi in cui si era pervasi da una profonda commozione frutto di sentimenti contrastanti. L’intera famiglia diocesana si strinse, ancora una volta, intorno al proprio Pastore per esprimere la propria gratitudine ed affetto per la Sua persona. Il naturale evolversi della vita ci porta, purtroppo, a dei momenti in cui i limiti della natura umana dicono che è giunto il momento di tirare i remi in barca e di lasciare ad altri il gravoso compito di guida della Diocesi.
Così Sua Eccellenza Gestori divenne il nostro Vescovo emerito, tanto più caro, in quanto aveva deciso di restare tra noi in preghiera e nello studio sempre disponibile verso quanti potevano avere bisogno di un aiuto spirituale.
Nella nostra vita è importante la memoria e “per sostenerla non servono le medicine –come scrive in un bel trattato lo psicanalista Mauro Mancia- l’unico modo per ricordare meglio le cose è amarle, poiché la memoria è certamente una funzione collegata all’affettività”.
E noi la ricordiamo con piacere, specialmente in questa ricorrenza del 25mo anniversario dell’ordinazione Episcopale. E ci piace incontrarla in tante Liturgie insieme al nostro Vescovo Carlo e saperlo in buona salute.
Le auguriamo ancora lunga vita e ricca di gioie spirituali; l’accompagniamo con la preghiera, affidandola alla Madonna di Loreto, nostra patrona, chiedendo di esserle sempre vicina in qualsiasi momento e circostanza.

In occasione di questa lieta ricorrenza Mons. Gestori, grazie alla nostra inviata Patrizia Neroni, ci ha rilasciato una dichiarazione in vista dell’appuntamento di questa sera.

Eccellenza, quali sono stati i “temi guida” che hanno caratterizzato il suo servizio episcopale in questa nostra Chiesa particolare?
Durante il mio episcopato mi hanno guidato principalmente tre idee, in base anche al mio motto episcopale: “Veritas et caritas”. Il mio motto l’ho desunto da sant’Agostino, un santo a me particolarmente caro, grande teologo, grande vescovo, grande santo. Sant’Agostino aveva scritto: “Bisogna amare la Chiesa per avere lo Spirito Santo”; allora io volevo amare la Chiesa per non perdere lo Spirito del Signore che è dentro di me. Si chiedeva sant’Agostino: “Quale Chiesa amare?”, la risposta è: “Questa”; “Quale diocesi amare?” e anche qui la risposta era: “Quella che il papa mi aveva dato”, cioè quella di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto. Seguendo ancora sant’Agostino: “Ama la Chiesa, ama questa Chiesa, rimani in questa Chiesa e sii questa Chiesa”. Io fin da subito mi sono sentito inserito in questa diocesi con tutto me stesso, inserito con uno spirito di servizio, pronto a servire la Chiesa e ad amarla. Sempre sant’Agostino diceva: “Caritas libera servitus” ovvero “La carità è una libera schiavitù”. Io ho cercato sempre di servire questa diocesi: non so se ci sono riuscito però è stato il mio impegno. Lo stile del mio episcopato è stato servire per amare.

Quali sono le prospettive del suo futuro?
Adesso sono vescovo emerito, però un vescovo è un padre e alla domanda “Ci si dimette dalla paternità?” la risposta è “No”. San Paolo VI infatti diceva: “Un padre non si dimette mai” e se il vescovo è un padre allora questi non si dimette mai. Certo, vengono meno le responsabilità dirette perché in una Chiesa c’è un vescovo solo, però la paternità rimane. E cosa deve fare un padre anche quando non ha più le responsabilità? Deve amare, servire e pregare. Così, in questo tempo di riposo, cerco di recuperare quelle mancanze di preghiera che in passato ci sono state perché avevo le giornate impegnate. Cerco di pregare un po’ di più per riempire i vuoti degli anni passati e poi fin quando c’è olio nella lampada del mio cuore, la fiammella dell’amore deve rimanere accesa: dunque io continuerò a pregare per la diocesi.

Ed ora, Eccellenza, rinnovandole il nostro grazie, le chiediamo di benedirci.

Redazione: