Oggi la Parola ci fa toccare con mano quanto sia forte la tentazione, per ciascuno di noi, di cedere all’intransigenza, all’intolleranza, al fanatismo, al fondamentalismo.
Sì, perché sono atteggiamenti che non riguardano solo popoli, credo religiosi o situazioni lontane da noi ma che ci toccano da vicino.
Ce lo testimoniano, nella prima lettura, Giosuè, colui che prenderà il posto di Mosè alla guida del popolo di Israele, colui che guiderà Israele proprio nel momento del suo ingresso nella terra promessa e, nel Vangelo, Giovanni, il discepolo amato dal Signore, l’unico a rimanere sotto la croce e a cui Gesù morente affiderà sua madre.
Due personaggi, diremmo oggi, di un certo calibro in fatto di fede!
Ma concretamente cosa succede?
La prima lettura ci presenta un Giosuè scandalizzato per il fatto che due uomini, pur non facenti parte dei settanta anziani investiti ufficialmente dallo Spirito Santo, cominciano a profetizzare nell’accampamento di Israele. «Mosè, mio Signore, impediscili!». In parole povere Giosuè si scandalizza di uno Spirito di Dio che si è permesso di andare oltre i limiti dettati dalla ritualità, dalle norme, uno Spirito che si è posato su chi, secondo lo stesso Giosuè, proprio non ne ha diritto.
Così come nel Vangelo in cui Giovanni dice a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva».
Non ci segue, cioè non è dei nostri, non è intimo a Te come lo siamo noi, o possiamo anche dire: non ne ha diritto, non ne ha il titolo, non ne ha le competenze, o ancora più concretamente, non frequenta i nostri incontri, non fa parte di questo o di quel consiglio, di questa o quella commissione, di questo o quel gruppo, non si è visto mai in parrocchia, non viene alle nostre iniziative, non è abbastanza formato…!
Non, non, e ancora non…tanti “non” per avvalorare la nostra richiesta, che è la richiesta di Giosuè, che è la richiesta di Giovanni: “impediscilo”, ovvero impedisci, Signore, a tutti loro, di parlare nel tuo nome perché nessuno può permettersi di parlare e operare in forza del tuo nome se non fa parte chiaramente della tua cerchia.
Ritradotto per noi oggi: l’istituzione Chiesa, nella sua dottrina, nei suoi riti, nei suoi ministeri, è criterio ultimo e decisivo per stabilire chi è di Cristo e chi non lo è. Lo è chi è in essa, non lo è chi non è in essa.
E’ vero che Dio parla attraverso maestri scelti e incaricati, è vero che si è scelto una Chiesa a cui ha affidato il compito di annunciarlo nel mondo, tuttavia Egli si riserva la libertà di farsi presente e di agire anche altrove e diversamente.
«Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo Spirito!», risponde Mosè a Giosuè. E ancora Gesù a Giovanni: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me…».
Questa è la libertà di Dio…e a questa libertà occorre che corrisponda nel discepolo, in ciascuno di noi, quell’ampiezza di vedute fatta insieme di umiltà, tolleranza, intelligenza, grandezza d’animo di cui la risposta di Gesù è un esempio.
Il Signore ci chiede di avere uno sguardo capace di riconoscere l’intervento dello Spirito anche là dove non ce lo potremmo mai aspettare, uno sguardo capace di riconoscere in tutti coloro che rispetto al discepolo sono apparentemente meno muniti, più esposti, più deboli, uomini e donne capaci di compiere azioni segnate dall’amore.
Tutto ciò affinché la ricchezza che è la nostra fede, come scrive San Giacomo, non marcisca, non sia mangiata dalle tarme della nostra presunzione, non sia consumata dalla ruggine della nostra autoreferenzialità, ma sia bene che ci impegna a condividere e non a trattenere.