Rubrica Pausa Caffè

Da astemia l’unica eccezione di chi scrive è stato nella vita qualche assaggio di vino cotto, dal sapore dolce e autunnale.
Mentre beviamo il caffè ricordiamo qualche episodio festoso o ricorrenza, che ha caratterizzato l’assaggio di questo meraviglioso nettare degli dei, conosciuto fin dall’antica Roma, dai tempi di Plinio. In questo periodo di inizio autunno si levano fumi dai casolari, che ci fanno pensare alla prima ecloga delle Bucoliche di Virgilio : “et iam summa procul villarum culmina fumant maioresque cadunti altis de monti bus umbrae”, “Già lontano fumano i tetti delle cascine e più grandi scendono dagli alti monti le ombre” . E’  il tramonto, l’inizio della sera, quell’orario incerto che prelude alla cena e al riposo, prima della notte, un momento di pace crepuscolare e silenzio. Una immagine che trova riscontro nelle nostre campagne in questo periodo, autunnale ( anche se fa ancora caldo) quando si elevano i fumi dei calderoni del vino cotto e l’aria profuma di mosto . La campagna in questo periodo si tinge di rosso, giallo, arancio. Il vino cotto è un prodotto “segreto” tipico della cultura agricola abruzzese e marchigiana,  realizzato con uve scelte e utilizzato  nelle grandi occasioni : Matrimoni, Batesimi, Natale ecc. Quando nasceva un bebè, di solito il nonno , preparando il vino cotto – lo metteva da parte in qualche bottiglia per stapparlo il giorno del matrimonio del nipote. In realtà non esiste un commercio del vino cotto, perché si regala agli amici e conoscenti o si offre ed è considerato un gran segno di amicizia e condivisione. Si tratta in parole povere, di un mosto ( succo d’uva) cotto aromatizzato con mele, cannella e ingredienti segretissimi tramandati di generazione in generazione senza una forma scritta ma basata sulla visione e sulla pratica, fin da quando si era bambini. Qual è l’uva prescelta per il vino cotto? Alcuni dicono: MoscatelloTrebbiano , Montepulciano e Pecorino, ma anche vitigni anonimi, purchè producano uva zuccherina e di gradevole sapore, che i contadini sanno ben riconoscere e distinguere. Ma come si fa il vino cotto? Dopo essere stata pigiata, l’uva produce il classico mosto, che viene messo in un contenitore di rame, poi sul fuoco e infine portato ad ebollizione. Lo si fa bollire fino a quanto non si riduce di circa la metà, rimuovendo la schiuma che man mano si forma, con l’ausilio di una schiumarola ( una sorta di mestolo piatto con forellini sottili). Quando il mosto cotto è ridotto, vi si aggiunge il mosto crudo a colmare la metà, poi si “imbotta” ( cioè si mette nelle botti ) per lasciarlo fermentare in pace per 30 giorni, poi si travasa e si lascia invecchiare. Un altro metodo, più praticato evita l’aggiunta del mosto fiore ( grezzo) e si praticano continui travasi per togliere i depositi. Va tenuto ad invecchiare almeno 10 anni. Esistono dei vini cotti antichissimi. Da noi sono comuni i vini cotti rossi, ma ne esistono anche di bianchi, più comunemente chiamati “Vin Santo”. Il vino cotto sa di  caramello, mele e cannella, un po’ di fragola e di autunno, una volta veniva dato anche ai bambini se avevano la febbre per frizionare braccine e gambette oppure da bere come uno sciroppo per il mal di gola, in realtà realmente sfiammava  e disinfettava, essendo alcool, veniva anche usato per riti funerari, in definitiva accompagnava la nascita e le tappe più importanti della vita dell’uomo fino alla morte. Veniva usato anche per alcuni dolci, ad esempio il “Frestinghe” ( Frustingo) un “pizzone” zuppo di olio e frutta secca, dove la ricetta originale prevedeva il vino cotto anche se oggi si usa semplicemente mosto. Oggi è vietato produrlo, eccezion fatta per il “marsala”, molto simile, che sa più di mandorla ed è differente rispetto al vino cotto tradizionale, senz’altro più forte e gustoso. Ciononostante i contadini per tradizione continuano a produrlo e appunto, in questo periodo, “fumano” le aie spandendo nell’aria il profumo del mosto e delle mele, che vengono aggiunte nel calderone per aromatizzarlo insieme ad altri ingredienti segretissimi. Chi volesse interagire, può farlo, scrivendo all’autrice o tramite il numero whatsupp di redazione : 3711715065. Al prossimo numero di “Pausa Caffè” !

 

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