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Myanmar. Il “grazie” del vescovo Kung per le parole del Papa: “Sono davvero lacrime di dolore e di morte”

M. Chiara Biagioni

“Una buona notizia, un messaggio di consolazione per il mio Paese attualmente segnato da dolore e calamità”. Con parole cariche di commozione il vescovo di Hakha, mons. Lucius Hre Kung, commenta il nuovo appello lanciato da Papa Francesco durante l’Angelus del 3 ottobre per la pace nel Myanmar. “Desidero nuovamente implorare il dono per la pace per l’amata terra del Myanmar”, ha detto il Papa rivolgendosi ai fedeli riuniti in piazza San Pietro, “perchè le mani non debbano più asciugare lacrime di dolore e di morte ma possano stringersi per superare le difficoltà e lavorare insieme per l’avvento della pace”. “Credo fermamente – dice da Hakha mons. Kung – che l’appello del Santo Padre per la causa del Myanmar possa raggiungere l’Onnipotente. Dal profondo del mio cuore, ringrazio il Santo Padre e quanti erano radunati in piazza San Pietro. Le preghiere offerte per noi e per la pace del Myanmar significano molto. È il Vicario di Cristo come un nuovo Mosè che supplica per il suo popolo nei momenti di sofferenza.La sua premura e la sua vicinanza consolano non solo il piccolo gregge di questo Paese ma è vera consolazione per tutti gli uomini e le donne di questa terra”.

Mons. Kung è vescovo di una diocesi che si trova nello Stato di Chin dove purtroppo i militari della giunta birmana hanno preso di mira chiese cattoliche e protestanti. All’inizio di settembre, i militari erano entrati nella chiesa cattolica di San Giovanni, avevano aperto il tabernacolo, preso le ostie consacrate e e poi le hanno gettate a terra. L’occupazione delle chiese è in realtà la conseguenza di una serie di combattimenti tra i militari e i gruppi di resistenza civile (Chinland Defence Force, Cdf) che hanno obbligato le persone a fuggire dalle loro case. “Sono davvero lacrime di dolore e di morte in tutto il Paese, come ha detto il Santo Padre”, dice oggi mons. Kung. “La gente abbandona le proprie case per paura della guerra e fugge verso luoghi sicuri. Ciò che in questo momento mi preme di più è  che la pace duratura venga ripristinata il prima possibile attraverso l’intervento diplomatico della comunità internazionale”.

Nonostante i leader mondiali, tra cui Papa Francesco, abbiano chiesto la fine della violenza e il perseguimento della pace, la giunta militare non ha mostrato segni di allentamento dell’oppressione dei civili, compresi i bambini.Secondo quanto riporta l’agenzia di informazione cattolica UcaNews, almeno 1.114 persone hanno perso la vita e oltre 8.000 persone sono state detenute dal 1° febbraio, giorno in cui è avvenuto il colpo di Stato.Sono soprattutto gli abitanti delle regioni etniche, comprese le aree prevalentemente cristiane degli Stati di Chin, Kayah, Kachin e Karen, a sopportare l’urto maggiore del conflitto. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2 ottobre, le violenze innescate dal golpe hanno costretto oltre 240.000 persone a lasciare le proprie case, innescando una crisi umanitaria nel Paese. Il rapporto afferma che almeno 12.000 persone sono sfollate dallo Stato di Chin, 142.000 dallo Stato di Kayah, 63.000 a Sagaing, 12.000 nella regione di Magwe e 13.380 nello Stato di Shan. Il vescovo Kung è preoccupato.

“Dopo otto mesi di situazione caotica del Paese, anche la nostra popolazione affronterà presto carenza di cibo e medicine come già si sta sperimentando in alcuni luoghi. Si spera che le commissioni di livello più alto come il World Food Program delle Nazioni Unite e le squadre della Croce Rossa internazionale possano prepararsi a rispondere a questa emergenza. Vorrei dire grazie infinite al Santo Padre e alla comunità cattolica nel mondo per la solidarietà e la vicinanza mostrate nella preghiera e nello spirito. Nella festa di San Francesco, patrono della pace (4 ottobre, ndr), ricordiamo in modo speciale il nostro amato Papa Francesco. Lunga vita al nostro Papa! San Francesco prega per noi!”.

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