Chiara Pellicci
Le chiamano “bambine streghe” perché accusate dai parenti di essere la causa di disgrazie o avversità a cui la famiglia deve far fronte. Per questo vengono allontanate da casa e quasi sempre finiscono per strada. Accade nelle periferie di Bukavu, città del Sud Kivu, Repubblica Democratica del Congo, ma non solo. Qui, però, c’è il Centro Ek’Abana che le accoglie e assicura loro un riparo dove trovare affetto, cura, tenerezza, possibilità di un cammino di perdono e riconciliazione.
Ad aver fondato la “Casa dei bambini” (questo il significato letterale di Ek’Abana in lingua mashi) è suor Natalina Isella, religiosa dell’Istituto secolare discepole del Crocifisso. Opera in Congo dal 1976 e accompagna le bambine accusate di stregoneria dal 2002. Fino a quel momento il fenomeno non si era palesato. Ma la guerra con il Rwanda aveva provocato un numero enorme di rifugiati e la povertà era cresciuta esponenzialmente, tanto da aver riversato in strada frotte di bambini da richiamare l’attenzione di associazioni e istituzioni. Sino ad allora, però, a Bukavu c’erano solo maschi abbandonati a loro stessi. Fu un gruppo di studentesse che si accorse della presenza di nove bambine di una decina d’anni: si autodefinivano “streghe” ed erano così malandate da mettere subito in moto la ricerca di una soluzione. A rispondere “sì” fu suor Natalina, alla quale il giorno prima era stata consegnata la chiave di una casetta dove avrebbe voluto realizzare un progetto per disabili.
“Era il 20 gennaio 2002 – racconta la missionaria – quando mi fu chiesto di occuparmi di quelle bambine abbandonate perché accusate di stregoneria”. Da quel giorno sono passati quasi 20 anni e suor Natalina, con le altre educatrici, ha contribuito a restituire dignità non solo a quelle nove bambine, ma a tante altre. Oggi le ragazze ospitate sono 40. Nel frattempo la struttura si è ingrandita: alla missionaria è stata assegnata anche la casa adiacente e poi, con le offerte dei benefattori, si sono aggiunti i servizi mancanti, come il salone per gli incontri e la biblioteca.
Una caratteristica del Centro è che le ospiti non sono sempre le stesse bambine: un obiettivo, infatti, è quello di creare le condizioni per reinserirle nelle rispettive famiglie, promuovendo una mediazione che passa necessariamente dalla riconciliazione. “In media il periodo di permanenza di una bambina nel Centro è di un anno, a volte si arriva anche a due. Con ciascuna facciamo un percorso di perdono, perché l’accusa di essere la causa di tutto il male che capita in famiglia, è una ferita tremenda”.
Ma cosa fa scattare in un genitore l’idea che la propria figlia possa essere una strega? “In generale – spiega suor Natalina – le bambine accusate di stregoneria hanno perso la mamma, quindi in casa c’è la seconda moglie del papà che magari ha qualche problema: non riesce ad avere figli oppure le è morto un parente oppure la semplice attività lavorativa con cui la famiglia sopravvive non va bene. Il passaggio successivo è dare la colpa a quella bambina, che magari è anche un po’ ribelle, fa capricci, non sopporta la presenza della nuova mamma. La grande povertà, la mancanza di istruzione dei genitori, la gestione dei problemi per niente facile e le reazioni insofferenti della bambina spingono la famiglia a tacciarla come strega e ad allontanarla da casa”.
Ma in quasi 20 anni, sono tante le ragazzine che hanno fatto ritorno nelle proprie famiglie. “Ek’Abana, come espressione, significa anche ‘i bambini a casa’. È bello – commenta la missionaria – perché in effetti noi lavoriamo proprio perché le ragazze ritrovino la propria casa e possano ricominciare una vita di speranza”.
(*) redazione “Missio”
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