Chiara Pellicci
Le chiamano “bambine streghe” perché accusate dai parenti di essere la causa di disgrazie o avversità a cui la famiglia deve far fronte. Per questo vengono allontanate da casa e quasi sempre finiscono per strada. Accade nelle periferie di Bukavu, città del Sud Kivu, Repubblica Democratica del Congo, ma non solo. Qui, però, c’è il Centro Ek’Abana che le accoglie e assicura loro un riparo dove trovare affetto, cura, tenerezza, possibilità di un cammino di perdono e riconciliazione.
“Era il 20 gennaio 2002 – racconta la missionaria – quando mi fu chiesto di occuparmi di quelle bambine abbandonate perché accusate di stregoneria”. Da quel giorno sono passati quasi 20 anni e suor Natalina, con le altre educatrici, ha contribuito a restituire dignità non solo a quelle nove bambine, ma a tante altre. Oggi le ragazze ospitate sono 40. Nel frattempo la struttura si è ingrandita: alla missionaria è stata assegnata anche la casa adiacente e poi, con le offerte dei benefattori, si sono aggiunti i servizi mancanti, come il salone per gli incontri e la biblioteca.
Una caratteristica del Centro è che le ospiti non sono sempre le stesse bambine: un obiettivo, infatti, è quello di creare le condizioni per reinserirle nelle rispettive famiglie, promuovendo una mediazione che passa necessariamente dalla riconciliazione. “In media il periodo di permanenza di una bambina nel Centro è di un anno, a volte si arriva anche a due. Con ciascuna facciamo un percorso di perdono, perché l’accusa di essere la causa di tutto il male che capita in famiglia, è una ferita tremenda”.
Ma in quasi 20 anni, sono tante le ragazzine che hanno fatto ritorno nelle proprie famiglie. “Ek’Abana, come espressione, significa anche ‘i bambini a casa’. È bello – commenta la missionaria – perché in effetti noi lavoriamo proprio perché le ragazze ritrovino la propria casa e possano ricominciare una vita di speranza”.
(*) redazione “Missio”